Tutti in campo… per una vita piena!
La vita comunitaria è come una grande partita di calcio. È l’immagine che mi è balenata durante il gioco in campo con i miei compagni, tra le corse e il fiato corto, le cadute e il sudore. Ciascuno nella propria posizione e al tempo stesso in stretta relazione con gli altri: chi in attacco, pronto a correre verso la porta e a segnare per la squadra; chi al centrocampo per recuperare palloni e fare da “ponte” tra i giocatori; chi in difesa per impedire agli avversari di avanzare; chi in porta per prendere la palla ed evitare la rete.
Non c’è un ruolo più eminente di un altro ma tutti sono necessari per la buona riuscita della partita, così come in comunità tutti sono importanti e ciascuno può dare il proprio contributo. È fondamentale che ciascuno faccia la propria parte senza declinarla ad altri, sapendo comunque di poter contare sull’aiuto dei compagni. Tutti chiamati, come dice Luciano Ligabue in “Una vita da mediano”,” a coprire certe zone, a giocare generosi” per essere “lì nel mezzo” della vita.
Credo che in campo l’unico pronome personale soggetto valido sia il “Noi”. Anche nella vita comunitaria è necessario passare dall’ individualismo dell’io alla comunione del “noi”, per pensare e agire al plurale come ci ricorda spesso papa Francesco. Se ogni giocatore in campo iniziasse a fare da sé, a correre come mina vagante, non riuscirebbe nel suo obiettivo e anche se riuscisse a fare rete, non raggiungerebbe il vero “goal”: il gioco di squadra, la piena comunione con i suoi compagni. Così pure nella vita comunitaria in noviziato: è necessario guardare oltre la punta del proprio naso, accorgersi di chi ci è accanto, del suo bisogno, avere il coraggio di fare un passo indietro e di passare la palla all’altro, sempre per il vero bene di tutti.
Ogni squadra ha il proprio allenatore: egli è responsabile della preparazione e delle strategie di gioco. È il primo che tifa per la propria squadra, si fida di ciascuno e insiste perché dia il massimo, secondo le proprie capacità. Mi piace pensare alla figura di Gesù come al vero allenatore, come aveva già intuito Carlo Nesti nel suo libro “Il mio allenatore si chiama Gesù”. Egli incoraggia, sprona, crede, spera in ciascuno di noi e nel lavoro di tutta la squadra; desidera che la nostra “gioia sia piena” (Gv 15,11).
È difficile a volte vivere secondo la proposta esigente di questo grande Allenatore, ma non impossibile. Occorre mettersi alla scuola del Vangelo, che ci prepara ad essere atleti come ci dice l’apostolo Paolo: “Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre. ” (1 Corinzi 9,24-25).
Vivendo nella “squadra di Gesù”, la nostra comunità, come ogni comunità cristiana, potrà davvero sperimentare, in mezzo alle difficoltà, il gusto di una esistenza piena, il sapore di una vera comunione.