GESUITI noviziato
Noviziato della Provincia Euro-Mediterranea della Compagnia di Gesù
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Coronavirus e Comunità in Compagnia

07 Mag 2020

 

Pochi di noi possono paragonare un periodo come questo a una delle esperienze che hanno già vissuto. Ho passato quasi due mesi senza poter uscire dal noviziato e questo è il periodo più lungo che io abbia mai fatto in vita mia senza uscire. Vivere in comunità è già di per sé un’esperienza particolare, che non avevo mai vissuto prima, e ora, aggiungendo queste restrizioni, c’è il rischio di sconforto. In realtà sto vivendo questo periodo molto bene, non ho trovato ancora momenti di noia, anzi ho l’opportunità di scoprire molti aspetti, ma poi vi dirò il perché.

Oltre al conforto che mi accompagna adesso, i sentimenti che mi passano in cuore in questo tempo sono veramente vari: l’incertezza, la compassione con quelli che soffrono e muoiono di coronavirus, e anche la paura per la mia famiglia che si trova a circa 1200 km da Genova, nella zona ovest della Romania, dove ancora non sono presenti molti contagi. Parlando con mia nonna che abita con i miei genitori, mi sono sorpreso e mi hanno impressionato il coraggio e la forza con cui sta attraversando questo periodo. Avendo vissuto già la seconda guerra mondiale, l’occupazione comunista, la deportazione dei famigliari in campi di lavoro, è molto cosciente della realtà di questa pandemia che noi stiamo affrontando con poco coraggio e pazienza, perché non abbiamo più fiducia e non sappiamo più a chi affidarci. Ecco, questo è il punto che mi fa molto pensare. La nostra fede ci può davvero aiutare in momenti così critici della nostra vita?  La risposta è sì, ma la dobbiamo scoprire. Come la scoprono quelli che soffrono avvenimenti importanti nella vita, come la migrazione, la guerra, le dipendenze, le malattie, la depressione, la solitudine… affidandosi a Dio e mettendo il proprio destino nelle sue mani. Ecco, la situazione attuale mi stimola a pensare tutto questo, alle mancanze e alle debolezze che abbiamo e che non vogliamo accettare e affrontare.

Adesso torno a spiegarvi perché nel resto del tempo non ho trovato ancora i momenti di annoiarmi. La vita comunitaria mi spinge a scoprire molti aspetti, che fino adesso non conoscevo di me, soprattutto attraverso le relazioni personali con i compagni e l’attività comunitaria nella quale siamo immersi. Tutto ciò ci tiene molto occupati per la maggior parte del tempo. Cominciando con il fatto che ogni giorno ho diverse persone con cui parlare durante i pasti (amici con le quali condividere le proprie esperienze, gioie quotidiane, difficoltà, etc.), momenti di preghiera insieme, liturgia comunitaria di ogni giorno ma anche il passare del tempo divertendoci, giocando a calcio, pallavolo, ping-pong, etc. Tutto questo forma uno stile di vita, quello comunitario, dove, come in una famiglia, non puoi pensare solo a te stesso, ma hai anche la responsabilità dell’altro.

Queste cose rappresentano la vita comunitaria che stiamo vivendo in questo periodo di grande difficoltà per tutto il mondo. La comunità è ciò che ci ha reso molto più facile attraversare questo tempo, assimilando tutti gli aspetti positivi che porta.  Personalmente vivo questa dimensione come un aiuto per la mia vocazione, che è quella di seguire il Signore con i voti che scelgo di fare nella Compagnia di Gesù.

Raul Ciocani, novizio del primo anno

 

Tutti in campo… per una vita piena!

di Daniele Angiuli

La vita comunitaria è come una grande partita di calcio. È l’immagine che mi è balenata durante il gioco in campo con i miei compagni, tra le corse e il fiato corto, le cadute e il sudore. Ciascuno nella propria posizione e al tempo stesso in stretta relazione con gli altri: chi in attacco, pronto a correre verso la porta e a segnare per la squadra; chi al centrocampo per recuperare palloni e fare da “ponte” tra i giocatori; chi in difesa per impedire agli avversari di avanzare; chi in porta per prendere la palla ed evitare la rete.

Non c’è un ruolo più eminente di un altro ma tutti sono necessari per la buona riuscita della partita, così come in comunità tutti sono importanti e ciascuno può dare il proprio contributo. È fondamentale che ciascuno faccia la propria parte senza declinarla ad altri, sapendo comunque di poter contare sull’aiuto dei compagni. Tutti chiamati, come dice Luciano Ligabue in “Una  vita da mediano”,” a coprire certe zone, a  giocare generosi” per essere “lì nel mezzo” della vita.

Credo che in campo l’unico pronome personale soggetto valido sia il “Noi”. Anche nella vita comunitaria è necessario passare dall’ individualismo dell’io alla comunione del “noi”, per pensare e agire al plurale come ci ricorda spesso papa Francesco. Se ogni giocatore in campo iniziasse a fare da sé, a correre come mina vagante,  non riuscirebbe nel suo obiettivo e anche se riuscisse a fare rete, non raggiungerebbe il vero “goal”: il gioco di squadra, la piena comunione con i suoi compagni. Così pure nella vita comunitaria in noviziato: è necessario guardare oltre la punta del proprio  naso, accorgersi di chi ci è accanto, del suo bisogno, avere il coraggio di fare un passo indietro e di passare la palla all’altro, sempre per il vero bene di tutti.

Ogni squadra ha il proprio allenatore: egli è responsabile della preparazione e delle strategie di gioco. È il primo che tifa per la propria squadra, si fida di ciascuno e insiste perché dia il massimo, secondo le proprie capacità. Mi piace pensare alla figura di Gesù come al vero allenatore, come aveva già intuito Carlo Nesti nel suo libro “Il mio allenatore si chiama Gesù”. Egli incoraggia, sprona, crede, spera in ciascuno di noi e nel lavoro di tutta la squadra; desidera che la nostra “gioia sia piena” (Gv 15,11).

È difficile a volte vivere secondo la proposta esigente di questo grande Allenatore, ma non impossibile. Occorre mettersi alla scuola del Vangelo, che ci prepara ad essere atleti come ci dice l’apostolo Paolo: “Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre. ” (1 Corinzi 9,24-25).

Vivendo nella “squadra di Gesù”,  la nostra comunità, come ogni comunità cristiana, potrà davvero sperimentare, in mezzo alle difficoltà, il gusto di una esistenza piena, il sapore di una vera comunione.

 

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