GESUITI noviziato
Noviziato della Provincia Euro-Mediterranea della Compagnia di Gesù
iten
facebookTwitterGoogle+
https://www.ramstein.af.mil/News/Features/Display/Article/1197428/know-a-foreign-language-kmc-leap-wants-you/

https://www.ramstein.af.mil/News/Features/Display/Article/1197428/know-a-foreign-language-kmc-leap-wants-you/

https://www.ramstein.af.mil/News/Features/Display/Article/1197428/know-a-foreig

Info

I speak Italiano

L’estate è tempo di riposo e di vacanza, ma anche tempo per prepararsi alle attività dei mesi successivi, tanto più quando si inizia una nuova missione o un nuovo incarico. Così anche quest’estate il Noviziato ha accolto 17 gesuiti in formazione, che sono stati inviati dalle loro rispettive province di appartenenza per studiare italiano, prima di iniziare a Roma gli studi universitari o il lavoro apostolico.

Gli scolastici Gesuiti che hanno partecipato al corso di quest’anno avevano provenienze prevalentemente extra-europee e, sempre più, la componente indo-asiatica è prevalente. Crediamo che sia significativo trascorrere questo mese di studio della lingua in un noviziato: come chi compie la sua prima tappa in Compagnia impara qui i primi rudimenti e a muovere i primi passi, così anche questi confratelli più avanti nel cammino si affacciano in un nuovo Paese e in una nuova cultura. La presenza dei novizi che si alternano nel servizio di tutoria, trasforma, talvolta, le ore di tutoraggio in vere e proprie conversazioni spirituali, o scambi reciproci interculturali, che arricchiscono maggiormente il tempo investito nell’apprendimento/insegnamento dell’italiano. Inoltre, l’accoglienza e la cura personalis che la comunità del noviziato sono in grado di offrire aiutano ad abituarsi ad un nuovo ritmo di vita, un nuovo clima, un nuovo tipo di cucina. La fatica di cercare di comprendere e farsi comprendere con un nuovo linguaggio è vicina allo sforzo che nei primi mesi di noviziato si compie per imparare tanti “gesuitismi”, cioè quei termini della nostra spiritualità o delle nostre Costituzioni che inizialmente possono risultare oscuri. Il desiderio per una nuova tappa della propria vita e l’umiltà di mettersi in discussione sono richieste sia a chi vuole accostarsi a una nuova cultura, sia a chi verifica la propria chiamata alla vita religiosa.

Tutte queste componenti hanno accompagnato i nostri studenti di italiano in queste settimane, in cui si sono impegnati a conoscere non solo la grammatica, ma anche gli usi, le tradizioni, i modi di dire e alcune città italiane. Ci teniamo a sottolineare che l’apprendimento non è stato unilaterale: una delle ricchezze che la vita in Compagnia ti dona è quella di entrare in contatto con tante persone di culture diverse, riconoscendo con esse punti in comune, ma anche tratti specifici. La sfida più grande – ma anche ciò che dà maggiore consolazione – per chi coordina un corso come questo non è tanto quella di insegnare la lingua o di badare che tutto sia in ordine, ma creare le condizioni affinché, nonostante le diversità culturali e caratteriali dei partecipanti, si instauri un clima di comunione e fraternità, senza il quale diventa molto più difficile mettersi in gioco e aumenta la fatica di imparare. Nella costruzione di una comunità siamo sempre tutti un po’ “novizi”, perché non esiste una
ricetta già pronta, ma è un’arte che richiede uno sforzo comune. E ciò che ha reso possibile giungere a questo clima è stato proprio il tempo donato con gratuità da parte di tutti – i novizi, i padri, e, chiaramente, gli studenti –, senza badare a sprechi.

Andando a Roma e a Torino, al termine di questo corso, il cuore è colmo di gratitudine per il cammino condiviso con tanti confratelli in varie tappe della loro formazione; e la speranza è quella che, al di là di noiose regole grammaticali, rimarrà impresso la fraternità costruita.

Ivan Agresta SJ e Andrea Marelli SJ, coordinatori del corso di italiano

Tutti in campo… per una vita piena!

di Daniele Angiuli

La vita comunitaria è come una grande partita di calcio. È l’immagine che mi è balenata durante il gioco in campo con i miei compagni, tra le corse e il fiato corto, le cadute e il sudore. Ciascuno nella propria posizione e al tempo stesso in stretta relazione con gli altri: chi in attacco, pronto a correre verso la porta e a segnare per la squadra; chi al centrocampo per recuperare palloni e fare da “ponte” tra i giocatori; chi in difesa per impedire agli avversari di avanzare; chi in porta per prendere la palla ed evitare la rete.

Non c’è un ruolo più eminente di un altro ma tutti sono necessari per la buona riuscita della partita, così come in comunità tutti sono importanti e ciascuno può dare il proprio contributo. È fondamentale che ciascuno faccia la propria parte senza declinarla ad altri, sapendo comunque di poter contare sull’aiuto dei compagni. Tutti chiamati, come dice Luciano Ligabue in “Una  vita da mediano”,” a coprire certe zone, a  giocare generosi” per essere “lì nel mezzo” della vita.

Credo che in campo l’unico pronome personale soggetto valido sia il “Noi”. Anche nella vita comunitaria è necessario passare dall’ individualismo dell’io alla comunione del “noi”, per pensare e agire al plurale come ci ricorda spesso papa Francesco. Se ogni giocatore in campo iniziasse a fare da sé, a correre come mina vagante,  non riuscirebbe nel suo obiettivo e anche se riuscisse a fare rete, non raggiungerebbe il vero “goal”: il gioco di squadra, la piena comunione con i suoi compagni. Così pure nella vita comunitaria in noviziato: è necessario guardare oltre la punta del proprio  naso, accorgersi di chi ci è accanto, del suo bisogno, avere il coraggio di fare un passo indietro e di passare la palla all’altro, sempre per il vero bene di tutti.

Ogni squadra ha il proprio allenatore: egli è responsabile della preparazione e delle strategie di gioco. È il primo che tifa per la propria squadra, si fida di ciascuno e insiste perché dia il massimo, secondo le proprie capacità. Mi piace pensare alla figura di Gesù come al vero allenatore, come aveva già intuito Carlo Nesti nel suo libro “Il mio allenatore si chiama Gesù”. Egli incoraggia, sprona, crede, spera in ciascuno di noi e nel lavoro di tutta la squadra; desidera che la nostra “gioia sia piena” (Gv 15,11).

È difficile a volte vivere secondo la proposta esigente di questo grande Allenatore, ma non impossibile. Occorre mettersi alla scuola del Vangelo, che ci prepara ad essere atleti come ci dice l’apostolo Paolo: “Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre. ” (1 Corinzi 9,24-25).

Vivendo nella “squadra di Gesù”,  la nostra comunità, come ogni comunità cristiana, potrà davvero sperimentare, in mezzo alle difficoltà, il gusto di una esistenza piena, il sapore di una vera comunione.

 

Commenti

Lascia un commento
Chiudi notifica

Gesuitinetwork - Normativa Cookies

I cookies servono a migliorare i servizi che offriamo e a ottimizzare l'esperienza dell'utente. Proseguendo la navigazione senza modificare le impostazioni del browser, accetti di ricevere tutti i cookies del nostro sito. Qui trovi maggiori informazioni