Eccomi dall’altra parte dello schermo a distanza di sei anni. Già, perché ricordo bene quell’estate dopo il primo anno di seminario in cui passai in rassegna tutte le pagine del sito del noviziato per leggere delle esperienze vissute dai novizi. Leggendo le loro attività estive iniziai a sentire, sempre con maggiore chiarezza, il desiderio di vivere in questo modo. Sebbene i racconti delle esperienze estive fossero così accurati che mi sembrava di viverle mentre le leggevo, al termine di questa estate devo riconoscere che farle è ben più impegnativo che leggerle comodamente sul divano.
Certo io immaginavo di passare da un’esperienza all’altra sempre pronto ad impegnarmi fino in fondo, in perfetto spirito di obbedienza ai miei superiori, ma ho scoperto che l’obbedienza non è solo un aspetto esteriore. Non basta fare quello che ti hanno chiesto e farlo al meglio. Quando mi sono trovato di volta in volta in contesti nuovi in cui non conoscevo nessuno, o quasi, mi sono accorto che una parte di me iniziava a giocare in difesa e tutta una apparente serie di buoni motivi era pronta a sostenere che andava bene così, infondo io avevo obbedito ma una parte di me non era lì presente e perdeva l’occasione per imparare, sperimentare e coinvolgersi.
Grazie ai consigli di un gesuita responsabile di una delle attività a cui ho preso parte ho imparato una grande lezione quest’anno. Le situazioni sono oggettive ma le interpretazioni sono relative. Ci sono situazioni di lavoro che possono essere più facili di altre ma sta a noi scegliere se considerare quella difficoltà come una minaccia da cui difendersi o come una sfida da affrontare. Ho poi notato che quotidianamente vengo a contatto con situazioni che posso percepire come sfide o come minacce. Esaminando frequentemente la mia coscienza per esaminare dove ho agito in difesa e dove invece mi sono messo in gioco, sto scoprendo ogni giorno aspetti nuovi su cui lavorare per imparare a fidarmi sempre di più del buon Dio.
Giacomo Mottola