Non avendo Facebook durante il noviziato, l’altro giorno mi sono reso conto di una cosa. Già questa sarebbe una notizia per alcuni, ma c’e un’altra cosa, magari più tragica e scandalosa: Non ho i miei co-novizi «amici» su Facebook. «Caspita!» ho pensato: «com’è possibile?!» Subito mi sono posto delle domande: «allora cosa significa? Non siamo veri amici? Come mai non ho pensato questo prima!»
Pensa ad un amico, il primo che ti vieni in mente. Ora chiediti, perché questo amico è il tuo amico? Magari avete vissuto un’esperienza insieme, vi conoscete da tanto tempo, avete altri amici in comune… Allora perché siete rimasti amici? A volte, questa è una domanda difficile a cui rispondere. Riflettendoci su, volevo condividere due pensieri su come viviamo l’amicizia nella comunità del noviziato: l’ABC dell’amicizia.
Accettazione.
La prima cosa che mi è venuta in mente è la parola «Accettazione». Nel noviziato mi sento ascoltato e accolto; non mi sento giudicato per quello che dico, e quindi accettato per chi sono. Poi ognuno porta nel suo cuore delle difficoltà quotidiane come le sfide negli apostolati, i momenti di difficoltà che vivono i nostri parenti e i momenti di stanchezza o nostalgia per la lontananza dai nostri paesi di origine. In comunità, con un clima di ascolto e accettazione, ci consente di tornare a casa e trovare qualcuno che appena ti vede giù di morale ti chiede «Come stai? Cos’è successo?», o spesso basta una pacca sulla spalla e sentire qualcuno che ti dice: «Se hai bisogno di parlare io ci sono».
Poi siamo persone molto diverse, e quindi tutto può diventare un eventuali causa di esclusione: l’età, la provenienza, la cultura, il modo di pensare, e anche di vivere la fede! Viviamo queste realtà diversamente perché siamo diversi! Quindi ci vuole pazienza e buona volontà nel guardare l’altro e dire: «Anche se non ci capiamo e vediamo le cose diversamente, ci vogliamo bene lo stesso».
Buon Umore.
Nell’amicizia ci vuole, e aiuta a respirare con leggerezza; occorre essere capaci di dire una battuta, di fare uno scherzo, ma anche di riceverne! Abbiamo tanti momenti nella giornata insieme: la collazione, il lavare i piatti, i pasti, il pomeriggio e la ricreazione. I momenti di dire una battuta come: «Guarda chi c’è a lavare! Ci vediamo domani con questo ritmo!» o «Sempre perdo a carte quando giochiamo insieme!» non ci mancano.
Abbiamo anche momenti fuori dal noviziato: una volta all’anno andiamo in vacanza insieme; ogni settimana abbiamo un giorno libero: c’è chi va in montagna, chi a vedere qualche mostra in città e altri che fanno una passeggiata lungo il mare. Poi andiamo in due in apostolato o in parrocchia la domenica. Spesso ci ritroviamo a metà pomeriggio in due o tre a bere un tè; si fa un gruppetto di studio e revisione e quelli che hanno un livello avanzato di una lingua aiutano gli altri. Facciamo qualche ora di esercizio fisico insieme, giochiamo a calcio o a pallavolo, e altri fanno una corsetta.
«Allora voi litigate?» Scherzi! Magari qualcuno pensa che essendo una comunità di “bravi ragazzi” non capita mai! Questo sicuramente, giocando una partita a «Risiko» non aiuta! Come in qualsiasi altra amicizia, a volte capita che litighiamo per cose banali. Tuttavia proviamo a cercare il momento giusto per il confronto in modo rispettoso, ci si chiede scusa, ci si abbraccia e si cammina avanti.
Condivisione.
«Dicevi che non avete Facebook, già questa è una notizia! Allora voi come riuscite a tenere un’amicizia senza telefonino? Senza Facebook? Senza WhatsApp?» Pur non avendoli, siamo aiutati a costruire l’amicizia, vere amicizie. Quando si va insieme a piedi all’apostolato, o ci si incontra nel corridoi, si parla. Non c’è rischio di incontrare qualcuno così immerso nel mondo virtuale che visualizzi le nuove foto su Instagram, senza che ti guardi. Durante i pasti, nessuno mette il telefono sulla tavola, pronto a controllare il nuovo messaggio sulla conversazione di WhatsApp alla prima vibrazione, come spesso ho visto nei ristoranti… e come facevo anche io! A tavola ci si guarda negli occhi, si ride, si racconta, e non si parla di alti discorsi teologici o filosofici, ma si parla delle nostre famiglie, si racconta qualche esperienza, si condivide l’esperienza dell’apostolato.
All’inizio dell’anno, ognuno comunica alla comunità la propria storia di vita. Ci mettiamo in ascolto e sentiamo con affetto la storia di ognuno, formatori inclusi. Raccontiamo le nostre vite partendo dalla nascita, l’infanzia, le difficoltà, le esperienze di crescita, di studio e di lavoro vissuti prima del noviziato. Lo spazio di ascolto crea un legame forte: conoscendo l’altro con i suoi difetti e pregi, e sapendo che sa custodire la tua storia, crescono l’intimità e la compassione.
La condivisione va oltre le parole. L’altro giorno sentendo che uno in comunità non aveva una sciarpa, e sapendo che ne avevo una, gliel’ho data. Spesso capita che trovo anch’io delle cose, dei piccoli regali, di fronte alla porta. C’è anche la condivisione durante i momenti di preghiera. Nella messa, ogni mattina, durante la preghiera dei fedeli, abbiamo l’opportunità di condividere ciò che ci ha colpito della preghiera del mattino, o qualche intenzione. Questo è molto bello perché spesso nella condivisione si capisce quello che sta vivendo l’altro e diventa un’opportunità, durante l’arco della giornata, di ritrovarci e di essere vicini, o di pregare per gli amici che compiono gli anni o per i parenti.
È vero che siamo chiamati «Compagni di Gesù» e spesso come gesuiti ci troviamo ad accompagnare gli altri, ma siamo anche compagni l’uno dell’altro. L’amicizia non nasce per caso, ma è un impegno costante e quotidiano. Anche se non siamo amici su Facebook, una volta ogni tanto, con la macchina fotografica in mano, dico a qualche compagno, «Amico, facciamo un selfie».