Partire e ritornare sono due movimenti fondamentali dell’esistenza. Tutti noi, tutti gli esseri umani partono e ritornano. Sono i verbi delle esperienze che accomunano l’umanità. Descrivono bene anche la mia vita, ma qui mi voglio soffermare sulla mia prima estate da novizio. Ho vissuto diverse partenze e diversi ritorni. Sono stato undici giorni tra Roccavignale e Torino per un campo estivo con i ragazzi di una parrocchia genovese, altre due settimane al centro Astalli di Roma, otto giorni tra Toscana e Umbria durante il pellegrinaggio in povertà, e sei giorni in provincia di Caserta per la visita ai miei cari.
Periodo a dir poco movimentato!
La prima parola che può descriverlo è “sorpresa” o anche “novità”. Prima della partenza non sapevo cosa avrei scoperto di me, di Dio, del mondo. Conoscevo, alcune volte però anche senza troppi dettagli, le attività che in quel contesto e con quelle persone avrei svolto, ciò che avrei fatto. Ma quello che fai, il semplice fare è solo una parte dell’esperienza. L’altra parte è il coinvolgimento del mondo interiore, afferrato da dinamiche e persone. Ma ancora non è tutto. Ogni partenza è stata per me un andare verso il mio Signore. I luoghi che raggiungevo si sono rivelati luoghi in cui lui era presente e operante. Magari una situazione, una difficoltà, un incontro, un dialogo, un’attività, un movimento affettivo mi insegnavano qualcosa di inaspettato, mi facevano crescere come persona e come cristiano (che poi è lo stesso!). Partivo e apprendevo insegnamenti per la vita. Non è facile spiegare in un articolo quest’esperienza. Mi viene una metafora. Le partenze sono state come la scalata di una montagna. Metti un piede dopo l’altro, procedi, vai avanti. Più sali più si allarga, dopo fatica e sudore, l’orizzonte. E mentre si allarga l’orizzonte dello sguardo allo stesso tempo si allarga quello della tua umanità, della tua persona, della tua fede, del cuore. Partire ha un sapore destabilizzante e consolante. Poi ti fermi a riprendere fiato tra un passo e l’altro, alzi gli occhi al cielo e ti rendi conto che durante la scalata il Signore è stato tuo compagno di viaggio e fonte di quell’orizzonte meraviglioso. Così è stato in estate. Partivo, scoprivo, ritornavo, e mi prendevo del tempo per rileggere le esperienze in preghiera con il Signore.
Le riletture mi hanno mostrato che dopo ogni ritorno qualcosa era cambiato dentro me: avevo sperimentato una bella sfumatura sia del volto di Cristo sia di me stesso.
Ricordo, tanto per dare un poco più di concretezza a quanto scritto, l’ultimo giorno del pellegrinaggio in povertà. Io e l’altro novizio eravamo in uno degli ultimi paesini dell’Umbria, ottavo giorno di cammino. Il mio amico stava male, aveva problemi al piede. Chiediamo ospitalità sia alle monache sia al prete del paese, ma entrambi sono impossibilitati. Siamo stati accolti tra mezzogiorno e le tredici da una signora laica, generosissima. Abbiamo ricevuto, grazie a lei, un posto dove dormire, l’assistenza del medico, e sia pranzo sia cena, nonché simpatia e affetto. È soltanto un episodio pescato dalla lunga lista di aneddoti che si potrebbero raccontare a testimonianza della bontà sperimentata. La gentilissima amica è stata per me Azaria, l’arcangelo che accompagna Tobia nel viaggio. È stata un segno concreto della Provvidenza. E la sua generosità ha riflettuto la generosità del Signore, il suo amore che si prende cura di me. Sono andato via da quella casa grato, e ancora ringrazio Dio per quell’incontro