In questi mesi mi sono chiesto dove sarò tra qualche anno. Dove sarà il mio lavoro e quali saranno le mie mansioni? Dove andrò a vivere? Dovrò imparare delle lingue?
Molti anni fa, a piedi verso Santiago de Compostela incontrammo un pellegrino con una barba bianca e una serie di strani oggetti appesi al collo. Aveva gli occhiali tenuti insieme del nastro adesivo e un occhio coperto, come un pirata. Mescolando francese e spagnolo ci spiegò che la differenza tra un mendicante e un pellegrino è nella meta. Ci salutò dicendo: “Ultreia!”, che poi scoprimmo essere l’antico moto dei pellegrini che significa “vai avanti!”. Dopo averlo salutato ebbi il desiderio di voltarmi indietro per vedere se ci fosse ancora o se fosse stata la apparizione di un angelo.
Diciotto anni da quell’episodio qualcosa ha richiamato alla memoria quell’episodio tra i piatti di trofie della festa di San Marcellino, nella piazzetta di fronte alla chiesa. Il mio animo si mescolava con i racconti delle persone. C’erano novizi gesuiti, dipendenti e volontari del San Marcellino, ospiti della accoglienza e persone senza fissa dimora che passavano di lì per mangiare qualcosa. C’erano tante parole diverse che venivano raccontate. Tra queste mi hanno colpito i racconti dei volontari sul mondo del lavoro, un mondo che conosco molto bene per esperienza diretta. Una continua riduzione del personale e dei costi con l’aumento degli orari di lavoro. La chiusura delle aziende e la paura che la propria azienda chiuda. La disoccupazione a cinquant’anni non sempre accompagnata da un cuscinetto sociale. Tutto questo si mescolava a racconti dei senza dimora, la loro continua ricerca di un posto dove stare e di un pasto caldo, ore e ore a camminare per la città senza una meta, aspettando gli orari giusti per entrare in una mensa o in un dormitorio. Ho visto una precarizzazione del mondo in cui viviamo. E’ una precarizzazione che tocca persone diverse su diversi livelli, dal lavoro alla ricerca di un tetto, dalla ricerca di un senso ultimo nella vita alla quadratura sempre più difficile tra i propri desideri e la realtà delle cose.
Poi è arrivato l’esperimento del “pellegrinaggio in povertà”, di nuovo in pellegrinaggio dopo tanti anni, di nuovo in questo grande e simbolico cammino che rappresenta la nostra vita. Nella difficoltà e nella stanchezza ho ricordato l’episodio del pellegrino che mi diceva “Ultreia!”. Non sapevamo dove avremmo dormito e cosa avremmo mangiato ma sapevamo per Chi e per cosa stavamo camminando. Stavamo cercando di metterci sulle orme del gran Re e nulla avrebbe potuto dare un sapore più forte al nostro procedere e una risposta più profonda alle mie domande.