Genova, lunedì 21 settembre 2020.
È notte. È tardi. Non è una notte qualunque. È l’ultima notte prima di partire per Roma con destinazione San Saba. L’armadio l’ho svuotato di tutti i vestiti. Le valigie sono pronte oramai da alcune ore. E la stanza risuona così silenziosa. Come al solito, a queste ore.
Mentalmente ripercorro i giorni passati qui. Ritorno alla prima notte passata qui a Genova. Sono passati esattamente settecento ventidue giorni. Ripenso a quanto mi sentissi spaesato e, per certi versi, così fuori luogo, quando arrivai qui.
Oggi mi ritrovo qui e mi sembra di non aver mai vissuto veramente da nessuna altra parte. Forse fisicamente sì. Ma con il cuore no. Decisamente no!
Ripenso alle persone che ho incontrato in questi settecento ventidue giorni: formatori, compagni di ieri e di oggi, i ragazzi dell’apostolato di Sestri Ponente, e tutte le altre incontrate nei vari esperimenti. Rivedo i loro volti, i loro sorrisi. Mi sembra, quasi, di poter sentirne le voci.
I Rem cantavano che lasciare New York non è mai semplice… Si vede che non hanno mai fatto l’esperienza del noviziato!
È così strano andare via da un posto in cui ci si sente a casa. Eppure, in fondo al cuore, sento una grande pace. Nonostante tutte le possibili paure che si affacciano relative al mio futuro, mi sento tranquillo.
A poco più di una settimana dai primi voti, sento l’importanza di andare avanti. Riconosco la necessità di iniziare a camminare su questa nuova strada.
La tentazione di voler portare tutto dietro con me, persone, amicizie e luoghi, c’è. Tuttavia riconosco come sarebbe un volersi impadronire di qualcosa che mi è stato donato in gratuità e che non mi appartiene, non mi può appartenere talmente bello è!
“Tu me lo hai donato, a te, Signore, lo ridono;
tutto è tuo, di tutto disponi”
Riconosco, quindi, come dentro a ognuno di questi settecento ventidue giorni ci sia stato il Signore ad accompagnarmi. E sono grato perché si è preso cura di me ogni singolo giorno.
Giovanni Barbone, scolastico gesuita