GESUITI noviziato
Noviziato della Provincia Euro-Mediterranea della Compagnia di Gesù
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Intervista con Adele Andreoli, insegnante di spagnolo e d’inglese

17 Mar 2021

Una volta alla settimana alcuni di noi seguono un corso di spagnolo ed altri un corso d’inglese. Dal 2018 Adele Andreoli insegna lingue ai novizi gesuiti.

Come hai conosciuto i gesuiti?
Già durante gli anni dell’adolescenza avevo sentito spesso parlare dei gesuiti e delle loro proposte per i giovani da parte di alcune mie amiche che facevano parte del MEG (Movimento Eucaristico Giovanile), partecipavano a campi a Selva, seguivano percorsi spirituali ed esperienze guidate. Anche nel mio percorso scout ho avuto la fortuna di incrociare qualche novizio gesuita (ricordo in particolare Padre Gabriele Semino) che svolgeva il suo apostolato presso il mio gruppo, Genova 26, quando io avevo 13/15 anni.

Diciamo però che una conoscenza più approfondita e consapevole c’è stata solo a partire dal 2016 quando, sempre grazie alle testimonianze di amici, ho deciso di intraprendere il percorso dei VIP, esercizi nella vita ordinaria, guidato all’epoca da Padre Cavallini, Padre Mattaini e Padre Ray Pace insieme ad altre guide. L’esperienza è stata talmente intensa e positiva, rispondeva così bene a quello che cercavo, che la stessa estate ho preso parte al pellegrinaggio in Terra Santa organizzato da Padre Cavallini, Padre Iuri Sandrin, Padre Matteo Suffritti e Padre Antonio Ordóñez, che ci ha lasciati poco tempo fa.

Da quel momento la mia “frequentazione” dei gesuiti è continuata in maniera abbastanza costante, dalle messe al Gesù, a settimane di esercizi spirituali, percorsi spirituali prima individuali e poi di coppia, guidati da Padre Agostino Caletti, fino alla conoscenza e frequentazione del noviziato e dei novizi che in questi anni hanno partecipato alle lezioni di spagnolo e di inglese.

C’è una cosa che caratterizza i novizi che hai incontrato in questi anni?
Sono persone in ricerca, che si mettono in gioco in maniera autentica, coraggiosa e libera per capire se quella della Compagnia sia effettivamente la strada per loro. Nonostante l’apparente immobilità della vita nel noviziato, a me sembra di intravedere un moto continuo, una grande trasformazione durante il loro percorso, sicuramente grazie anche alle proposte e alle esperienze che vivono in questi due anni.

Che cosa sogni per la Chiesa nel futuro, e cosa può fare la Compagnia di Gesù per realizzare questo sogno?
Sogno una Chiesa aperta al dialogo e dove la comunità sia e si senta sempre più protagonista e parte attiva della vita della Chiesa. Una Chiesa accogliente e inclusiva, capace di ascoltare e leggere i segni dei tempi e di aprire non solo metaforicamente le porte a chi viene lasciato al margine nella nostra società.

Nella mia breve e limitata conoscenza della Compagnia ho trovato spesso questa apertura, la disponibilità al dialogo, ma soprattutto un modo di annunciare e “spezzare” la Parola che per me è stato rivoluzionario: la capacità di leggere, meditare e attualizzare il Vangelo come raramente avevo visto prima. Questo ha dato una spinta nuova alla mia vita di fede, una speranza ritrovata e la consapevolezza di essere figlia amata dal Signore.

Sono tanti i modi e i campi in cui la Compagnia è impegnata e lavora nella direzione del sogno che ho di Chiesa: penso alle tante proposte di percorsi di fede per i giovani, all’accompagnamento delle coppie, delle famiglie, ai vari gruppi anche di adulti che esistono, alle comunità di famiglie nate dall’esperienza di Villapizzone, i ritiri di esercizi spirituali, le esperienze estive di cammino, fede e servizio; ma anche le tante realtà di vicinanza e di accoglienza dei più esclusi e vulnerabili, mi vengono in mente San Marcellino, il Centro Astalli. Tutti questi sono strumenti che aiutano ad andare nella direzione di una comunità più consapevole e più partecipe della vita della Chiesa e della responsabilità sociale che abbiamo come cittadini e come cristiani.

Il grande pregio della Compagnia e quello che penso possa continuare a fare è aiutare i giovani e la comunità a leggere i segni dei tempi alla luce del Vangelo, aiutarli a leggere il messaggio che la Parola ha da dire a ognuno nel tempo in cui viviamo, aiutare a discernere e ad agire nel nostro presente in modo da vivere una vita piena.

Puoi condividere con noi una desolazione ricevuta in quest’ultimo tempo?
Non mi viene in mente una desolazione specifica, ma pensando all’ultimo tempo sento piuttosto una desolazione un po’ generalizzata dovuta a questo periodo prolungato in cui le relazioni sono cambiate, le occasioni di incontrarsi davvero sono difficili e vanno ricercate con fatica. È un periodo in cui oltre all’isolamento forzato ho vissuto anche un progressivo allontanamento dagli altri, dagli amici, ma anche dalle persone in generale, dagli incontri casuali. Questa lontananza mi fa sentire forte la mancanza delle relazioni e della comunità, lasciandomi talvolta un senso di smarrimento e desolazione.

Puoi condividere con noi una consolazione ricevuta in quest’ultimo tempo?
Sempre pensando a questo ultimo tempo penso che i momenti di consolazione siano tutti quegli spazi di socialità, incontro e relazione che si riescono a mantenere, i gruppi di cui faccio parte e con i quali ho la fortuna di riuscire a incontrarmi per continuare a camminare e progettare insieme.

2021-03-17

In “itinere” stat virtus – Riflessione sulla festa di San Stanislao

25 Nov 2025

 

Caro lettore, cara lettrice,

qualche giorno fa, il 13 novembre, la comunità del noviziato ha festeggiato una ricorrenza significativa: la festa di San Stanislao Kostka, patrono dei novizi gesuiti. Per noi è stata una fruttuosa occasione per trascorrere del tempo insieme, anche con altri gesuiti presenti a Genova: quelli della chiesa e del Gesù e coloro che invece era semplicemente di passaggio.

Le ricorrenze dei santi, però, ci aiutano anche a soffermarci e riflettere: chi era Stanislao Kostka e perché è diventato patrono dei novizi?

Stanislao, un giovane polacco proveniente da un casato nobile, nacque nel 1550 e morì a soli 18 anni nel 1568. Come molti novizi dopo di lui, conobbe i gesuiti durante i suoi studi: i genitori, infatti, lo avevano inviato insieme al fratello a Vienna, nel collegio dei gesuiti da poco fondato (siamo nei primi decenni della vita della Compagnia di Gesù). Il suo desiderio di entrare nell’ordine, maturato in quegli anni, fu molto osteggiato dai suoi genitori. Per questo scappò e percorse dapprima più di 500km da Vienna a Dillingen (Germania) dove incontrò San Pietro Canisio [v. immagine]; poi, con l’approvazione di quest’ultimo, si recò (sempre a piedi) a Roma per entrare nel noviziato dei Gesuiti a Sant’Andrea al Quirinale.

Quando morì, il 15 agosto 1568, era stato novizio per meno di un anno, ossia meno della metà del tempo di noviziato. Eppure è diventato nostro patrono! La domanda quindi sorge spontanea: come mai Stanislao è diventato santo, e per di più patrono?

Leggendo agiografie si scoprono tanti aneddoti che rivelano tratti di autentica santità. Ciò che mi colpisce maggiormente, però, è soprattutto l’aspetto del cammino.

Infatti, si potrebbe legittimamente pensare che Stanislao sia morto troppo giovane per vivere la propria vocazione! E se invece non fosse così? E se invece la sua vocazione fosse stata proprio quella di peregrinare per mezza Europa e morire appena entrato in noviziato?

Non abbiamo bisogno di essere qualcuno o avere qualcosa di diverso da quello che siamo e abbiamo per servire, amare e vivere con il Signore. Il lungo tempo di discernimento che la Compagnia ci offre prima e dopo il nostro ingresso in noviziato ci aiuta a cogliere il valore del momento presente. Ci invita a dare il nostro “sì” ogni giorno, lungo tutto il nostro cammino. Quante volte avrà Stanislao dato il suo “sì” mentre passo dopo passo percorreva centinaia di chilometri? Camminare verso il Signore, in fondo, è la vocazione di tutta la Chiesa e, di conseguenza, anche di ciascun suo membro.

Ci troviamo attualmente anche nel corso di un anno giubilare. La celebrazione del giubileo è una pratica stabile nella Chiesa almeno a partire dal 1300. Nel corso della storia, mettersi in viaggio non è mai stato semplice e tantomeno privo di pericoli. Perciò non era raro che qualcuno morisse in viaggio. Tuttavia, per la Chiesa, in quel caso, non importava che non uno fosse riuscito a far visita alle basiliche giubilari e compiere gli altri atti ordinariamente richiesti per lucrare l’indulgenza: era come se li avesse già compiuti.

Questo è un bel parallelo, secondo me, che ci mostra come il cammino e l’attesa abbiano un valore proprio e non siano semplicemente dei riempitivi. Essi sono necessari e hanno un valore pari a quello dell’obiettivo. Del resto, che cos’è un obiettivo raggiunto se non l’inizio di un nuovo cammino?

Il salmo 84 dice: “Beato chi trova in te la sua forza / e decide nel suo cuore il santo viaggio”. La forza per il suo lungo ed estenuante viaggio Stanislao non la trovò nelle sue gambe – o almeno, non solo! Il cammino verso il Signore che ciascuno di noi compie, inoltre, spesso non è nemmeno spaziale, ma è un cammino interiore, altrettanto impegnativo: quello del nostro cuore.

Possa San Stanislao ispirare e accompagnare anche te nella tappa del cammino verso il Signore che stai vivendo, qualunque essa sia!

 

Buon santo viaggio!

 

Elia Gittardi, novizio del primo anno.

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