GESUITI noviziato
Noviziato della Provincia Euro-Mediterranea della Compagnia di Gesù
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Il mio piede destro

02 Gen 2021

È ormai tradizione che chi viene dal Nord-Europa a fare il noviziato in Italia incontra dure prove ed agonie. Basta pensare a S. Stanislao Kostka della mia stessa provincia, la Polonia del Nord, che nel 1568 morì nel noviziato a Roma dopo una malattia dolorosa. Mi vengono anche in mente i santi Henry Walpole e Robert Southwell, che dopo la formazione nello stesso noviziato furono mandati in Inghilterra dove subirono un martirio straziante nel 1595.

Era perciò ovvio che io, dopo un anno già segnato dal covid19 e da un lutto famigliare, ero destinato a ulteriori patimenti.

Quando alla fine di ottobre caddi vittima di questo mio crudele destino sul nostro campo da calcio con una distorsione della caviglia, potei pensare “prendi e ricevi, Signore, anche questo”. Ebbi la chiara consapevolezza di essere lontano dal livello di santità dei compagni del Nord-Europa che mi avevano preceduti. Ma subito vidi un’opportunità per meglio imitarli. Portato in stanza e fatto sdraiare sul letto, il misto tra il mio fanatismo religioso e l’effetto dell’adrenalina che si diffondeva nel mio corpo dopo l’impatto doloroso, provocò in me l’aspettativa di un’estasi mistica. Immaginai che se fossi riuscito a consegnarmi pienamente al Signore in questa mia povertà e ad unirmi alle sofferenze di Cristo, sarei stato elevato a uno stato di unione con Dio che fino ad allora avevo solo sognato. Poteva diventare la mia Pamplona, come per S. Ignazio! Vidi già come l’iconografia in futuro mi avrebbe dipinto a letto con un crocifisso in un braccio e un pallone nell’altro.

Seguirono giorni poi nei quali tentai di trasformare il mio incidente in un’esperienza religiosa per elevare la mia anima verso Dio, ma non ci riuscii. Non sperimentai illuminazioni consolanti, e non sentii la vicinanza di Dio. La mia vita spirituale diventò una continua distrazione di pensieri su come avrei potuto evitare l’incidente e di sentimenti di autocommiserazione e rabbia.

La parte pia di me volle ancora offrirsi a Dio, ma la parte umana di me non ce la fece a liberarsi da tutti questi pensieri e sentimenti naturali. Su quel letto di dolore non giaceva un santo, ma un uomo prigioniero del suo ego. Che desolazione! E Dio continuava ad essere assente.

Sembrai a me stesso un pagano, e cominciai a dubitare della mia scelta di vita religiosa, quando all’improvviso mi si presentò un pensiero: Ma Lui ti ha scelto! Lui conosce tutti i tuoi difetti, eppure ti ha scelto per seguirlo così come sei.

La mia fantasia distorta di un santo con un sorriso insieme sofferto ed eroico non era un’offerta gradita a Dio, l’aveva infatti ignorata. Lui voleva me, così come sono con la mia umanità ferita, con un piede dolente che causa malumore.

Il mio piede destro non mi ha procurato esperienze mistiche, e non sono riuscito a conquistare virtù eroiche attraverso la mia malattia. Ma mi ha fatto ricordare che sono umano, e che il Signore mi chiama così. Consolato ho deciso di seguirlo così, zoppo.

2021-01-02 Daniel Nørgaard – novizio del secondo anno.

In “itinere” stat virtus – Riflessione sulla festa di San Stanislao

25 Nov 2025

 

Caro lettore, cara lettrice,

qualche giorno fa, il 13 novembre, la comunità del noviziato ha festeggiato una ricorrenza significativa: la festa di San Stanislao Kostka, patrono dei novizi gesuiti. Per noi è stata una fruttuosa occasione per trascorrere del tempo insieme, anche con altri gesuiti presenti a Genova: quelli della chiesa e del Gesù e coloro che invece era semplicemente di passaggio.

Le ricorrenze dei santi, però, ci aiutano anche a soffermarci e riflettere: chi era Stanislao Kostka e perché è diventato patrono dei novizi?

Stanislao, un giovane polacco proveniente da un casato nobile, nacque nel 1550 e morì a soli 18 anni nel 1568. Come molti novizi dopo di lui, conobbe i gesuiti durante i suoi studi: i genitori, infatti, lo avevano inviato insieme al fratello a Vienna, nel collegio dei gesuiti da poco fondato (siamo nei primi decenni della vita della Compagnia di Gesù). Il suo desiderio di entrare nell’ordine, maturato in quegli anni, fu molto osteggiato dai suoi genitori. Per questo scappò e percorse dapprima più di 500km da Vienna a Dillingen (Germania) dove incontrò San Pietro Canisio [v. immagine]; poi, con l’approvazione di quest’ultimo, si recò (sempre a piedi) a Roma per entrare nel noviziato dei Gesuiti a Sant’Andrea al Quirinale.

Quando morì, il 15 agosto 1568, era stato novizio per meno di un anno, ossia meno della metà del tempo di noviziato. Eppure è diventato nostro patrono! La domanda quindi sorge spontanea: come mai Stanislao è diventato santo, e per di più patrono?

Leggendo agiografie si scoprono tanti aneddoti che rivelano tratti di autentica santità. Ciò che mi colpisce maggiormente, però, è soprattutto l’aspetto del cammino.

Infatti, si potrebbe legittimamente pensare che Stanislao sia morto troppo giovane per vivere la propria vocazione! E se invece non fosse così? E se invece la sua vocazione fosse stata proprio quella di peregrinare per mezza Europa e morire appena entrato in noviziato?

Non abbiamo bisogno di essere qualcuno o avere qualcosa di diverso da quello che siamo e abbiamo per servire, amare e vivere con il Signore. Il lungo tempo di discernimento che la Compagnia ci offre prima e dopo il nostro ingresso in noviziato ci aiuta a cogliere il valore del momento presente. Ci invita a dare il nostro “sì” ogni giorno, lungo tutto il nostro cammino. Quante volte avrà Stanislao dato il suo “sì” mentre passo dopo passo percorreva centinaia di chilometri? Camminare verso il Signore, in fondo, è la vocazione di tutta la Chiesa e, di conseguenza, anche di ciascun suo membro.

Ci troviamo attualmente anche nel corso di un anno giubilare. La celebrazione del giubileo è una pratica stabile nella Chiesa almeno a partire dal 1300. Nel corso della storia, mettersi in viaggio non è mai stato semplice e tantomeno privo di pericoli. Perciò non era raro che qualcuno morisse in viaggio. Tuttavia, per la Chiesa, in quel caso, non importava che non uno fosse riuscito a far visita alle basiliche giubilari e compiere gli altri atti ordinariamente richiesti per lucrare l’indulgenza: era come se li avesse già compiuti.

Questo è un bel parallelo, secondo me, che ci mostra come il cammino e l’attesa abbiano un valore proprio e non siano semplicemente dei riempitivi. Essi sono necessari e hanno un valore pari a quello dell’obiettivo. Del resto, che cos’è un obiettivo raggiunto se non l’inizio di un nuovo cammino?

Il salmo 84 dice: “Beato chi trova in te la sua forza / e decide nel suo cuore il santo viaggio”. La forza per il suo lungo ed estenuante viaggio Stanislao non la trovò nelle sue gambe – o almeno, non solo! Il cammino verso il Signore che ciascuno di noi compie, inoltre, spesso non è nemmeno spaziale, ma è un cammino interiore, altrettanto impegnativo: quello del nostro cuore.

Possa San Stanislao ispirare e accompagnare anche te nella tappa del cammino verso il Signore che stai vivendo, qualunque essa sia!

 

Buon santo viaggio!

 

Elia Gittardi, novizio del primo anno.

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