Arrivo a Genova il 3 ottobre, in un tiepido e sonnacchioso pomeriggio di inizio autunno. È la prima volta che metto piede in Liguria. Percorrendo la strada che dall’aeroporto conduce alla casa del noviziato, dal finestrino, vedo scorrere fuori edifici, scorci, angoli, piazze mai visti prima. Sullo sfondo, invece, vedo il porto, la grande Lanterna e infine la distesa azzurro-verde del mare che mi ricorda tanto gli anni vissuti a Napoli e che sempre mi allarga il cuore. In giro c’è poca gente: sono i primi giorni della lenta e difficile ripresa delle attività scolastiche e lavorative, dopo l’estate, ancora in piena emergenza sanitaria. Per un attimo mi guardo dentro: mi sento un po’ emozionato, forse timido e incerto come il sole che nascosto dietro nuvole grigie di tanto in tanto getta sulla città deserta qualche sprazzo di luce. Finalmente, dopo qualche tornante che si fa spazio attraverso il verde dei giardini, appare la casa. Riconosco l’indirizzo: Villa S. Ignazio, Via Domenico Chiodo, 3.
Varcato il cancello, comincia il noviziato. In effetti, mi dico, sembra proprio il primo giorno di scuola, o almeno la sensazione e l’atmosfera sono le stesse: l’ingresso, il cancello, le stesse farfalle nello stomaco, la stessa impazienza di cominciare, lo stesso desiderio di incontrare e conoscere i compagni, ma anche le stesse piccole paure che in genere accompagnano ogni nuovo inizio. Resta pur vero che ogni inizio è nuovo per definizione, in quanto tale, altrimenti non sarebbe un inizio. Mi piace pensare, però, che questo inizio sia nuovo in un modo per così dire unico. Unico come il primo giorno di scuola. A distanza di un mese e mezzo dal mio arrivo, oggi mi risuonano dentro e mi accompagnano le parole con cui p. Agostino, il padre maestro, ha introdotto il breve ritiro di prima probazione che conclude le prime due settimane di noviziato inaugurando il lungo periodo formativo che è la seconda probazione: “il Signore ci ha chiamati a una novità di vita”. La parola che mi colpisce di più e che in qualche modo segna questo tempo è proprio “novità”.
La stessa parola noviziato contiene, nella sua radice latina che la lingua italiana conserva, questo misterioso rimando alla novità: sento che il noviziato è il tempo in cui si impara a vivere la novità. E, in generale, imparare significa tornare un po’ bambini sui banchi di scuola. Come sui banchi di scuola, a volte, nella vita possiamo trovarci impreparati di fronte al nuovo, ma anche pieni di paura e di stupore. Per questo, mi piace pensare all’identità del novizio come a un bambino a scuola. Gesù stesso nel Vangelo descrive il mistero del Regno come qualcosa di nuovo che può essere imparato, cioè accolto, solo se cambiamo mentalità e diventiamo come bambini (cf Mt 18, 1-5; Mt 11, 25-30). Come bambini il primo giorno di scuola.
2020-12-06. Christian Lefta – novizio del primo anno