Una delle domande più frequenti che mi pongono parenti, amici, o altre persone che incontro a Genova, e che forse ti stai domandando pure tu che leggi in questo momento queste mie righe, e che non rientri nelle precedenti categorie, è spesso: “ma tu cosa fai davvero durante tutto il giorno in noviziato?”
Devo ammettere che davanti a questo quesito mi trovo spesso in difficoltà. Infatti, provare a riassumere il tutto in poche frasi chiare e semplici evitando di sembrare superficiale non è semplice; per questo motivo, di solito, mi limito a fare un resoconto più o meno dettagliato delle nostre ventiquattro ore tipo, includendo i corsi di lingua, gli impegni personali nella casa, ecc.
Tuttavia, dopo aver dato queste risposte generalmente mi sembra di aver raccontato solo una piccolissima parte di quello che realmente vivo qui.
Un’immagine che ha aiutato in primis me a comprendere e interiorizzare come trascorro il mio tempo è quella di quando vado a fare un due tiri al canestro nel nostro campetto polifunzionale, dove a volte hanno luogo anche epiche sfide a pallavolo tra noi novizi.
Chi gioca, o ha giocato, a pallacanestro, sa molto bene che una delle cose che si sperimenta tornando dopo moltissimo tempo a calcare il parquet, nel nostro caso, il cemento, è la difficoltà nel compiere in maniera naturale il semplice meccanismo di tiro.
Di per sé questo potrebbe sembrare estremamente banale: si piegano le gambe, con i piedi rivolti al canestro, si prende la palla con la propria mano forte, lasciando uno spazietto tra il palmo e la sfera, cercando di formare tre angoli retti con le articolazioni di polso, gomito e spalla, mentre l’altra mano ha il compito solo di sostegno laterale per la palla. A questo punto, tenendo lo sguardo sul ferro interno del canestro, si dovrebbe eseguire un movimento continuo che porti a distendere tutto il corpo e come mi raccomandava il mio allenatore, al momento del rilascio della palla, a “spezzare il polso”, portando le dita, in maniera figurata, all’interno del canestro.
Di per sé il tutto sembra abbastanza semplice, anche perché stiamo parlando di basket non di fisica teorica. Eppure la fluidità dell’intero movimento e il rigore con cui si eseguono questi facili movimenti, sono spesso alla base del buon esito di un tiro, assieme al capire come impiegare le proprie forze. Infatti all’inizio, a causa della fretta, tendevo spesso o ad accelerare alcuni movimenti, oppure a dimenticare di eseguirne degli altri perché mi soffermavo su un solo passaggio.
In ogni caso, quello che ne veniva fuori di solito era un deludente tiro sbagliato; per non parlare di quando, preso da qualche delirio di emulazione di altri, mi mettevo a tirare da sette – otto metri, facendo aumentare la gravità dell’errore in maniera esponenziale.
Quindi l’unica soluzione davanti ai miei primi terribili e dolorosi sbagli è stata quella di armarmi di santa pazienza e decidermi a ripartire dalle basi e pian pianino, iniziando da una distanza pressoché inesistente, in maniera molto diligente, riprendere e rendere naturali, prima nella testa e poi nel corpo, tutti i movimenti necessari.
Tutto ciò non è stato alla fin fine molto differente, per me, da quello che ho fatto quotidianamente in questi primi mesi in noviziato. Si è trattato di un periodo privilegiato della mia vita in cui ho potuto riprendere in mano tanti aspetti, situazioni, relazioni che mi hanno anche aiutato ad arrivare fino a qui, ma che a causa del disuso o del non corretto impiego attuale, avevano bisogno di una seria revisione.
E così, con calma, ripartendo a volte dall’inizio, ho potuto cominciare a ridare la giusta collocazione a differenti ambiti della mia storia, senza troppa fretta, facendo attenzione anche a quelli che potrebbero sembrare dei semplici “dettagli”, ma senza distogliere lo sguardo dalla visione globale di insieme.
Inoltre, come nello scontro con i miei piccoli errori “tecnici” di un semplice tiro a canestro così pure nella preghiera, un aspetto importante da tenere in considerazione per me, è stato quello di imparare a saper dare il giusto tempo alle cose: a non voler accelerare i tempi, anzi a volte anche essere disposti a ricominciare da capo, per poterle quindi metabolizzare e portare in profondità, ricordandosi\imparando che molto di quello che raccolgo non dipende da me.
Quindi, ritornando alla domanda iniziale, “che cosa faccio qui?” la risposta, parafrasando i Foo Fighters, è, in fin dei conti:“sto imparando a tirare a canestro di nuovo”.