GESUITI noviziato
Noviziato della Provincia Euro-Mediterranea della Compagnia di Gesù
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Pellegrinaggio

Pellegrinaggio in povertà

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C’era una volta…

13 Ott 2019

C’era una volta un lucano, un triestino e uno sloveno che andavano a fare quattro passi. Più precisamente, sono andati a fare quattro passi per dodici giorni consecutivi, da Parma fino a Urbino. I loro nomi erano Filippo, Giovanni e Urban ed erano tre novizi gesuiti che facevano il loro pellegrinaggio di circa 250 km a piedi.

Caro lettore, cara lettrice, sono quasi sicuro che un proposito del genere fa venire una domanda: perché fare un pellegrinaggio? La risposta più ovvia è che si tratta di un’esperienza prevista nell’estate del primo anno di noviziato. Il padre maestro indica il punto di partenza e quello di arrivo e noi prepariamo, su per giù, un itinerario più dettagliato. Ma forse è più interessante raccontare qualcosa del nostro viaggio, per provare a coglierne il senso.

I nostri pellegrini hanno iniziato il loro pellegrinaggio a Parma il sabato 22.6.2019 alle 12:04, con la decisione di approfittare dell’occasione per una sosta al Duomo di Parma e vedere le opere d’arte spiegate dal Filippo, conoscitore d’arte. Dopo un tempo di preghiera, hanno continuato il viaggio. Già qui hanno sperimentato il primo dono di provvidenza. La decisione di rimanere ha risparmiato loro una bella doccia, causata da una tempesta che si è abbattuta intorno a Parma, mentre loro pregavano.
Dopo 14 km della prima tappa, con le gambe un po’ doloranti, sono arrivati in un piccolo centro, dove sono stati accolti dai laici della parrocchia. C’era in corso una sagra del paese e i parrocchiani hanno condiviso un po’ del loro cibo con i nostri pellegrini: tortelli preparati in casa e gnocchi fritti, con affettato.
Successivamente li hanno anche accompagnati nella parrocchia di un paese vicino, per avere ospitalità per la notte e qui i pellegrini hanno partecipato all’adorazione, appena iniziata. Potete indovinare quanto fossero contenti della giornata. Il pellegrinaggio è stato pieno di situazioni del genere.

Ci sono state anche diverse prove. Prima la stanchezza, i dolori alle gambe e il calore per cui soffrivano durante il viaggio. Poi la necessità di organizzarsi tra loro. Si sono scontrati con il problema di cercare e chiedere l’acqua, spiegando che cosa stessero facendo. C’è stato il traffico e la strada dura. Tutte le sfide però sono state occasione di conoscenza reciproca maggiore e di esperienza. Tutto sommato le difficoltà hanno portato tanto di positivo.
E se aveste chiesto loro, avrebbero risposto che le grazie erano molto più numerose delle sfide della strada.
Per esempio; una volta una signora ha spontaneamente pagato per loro un albergo, sapendo soltanto che erano dei pellegrini. Un’altra volta hanno anche partecipato a una “pizzata” preparata da una famiglia che li ha accolti in un modo molto familiare.

Hanno fatto pure un’altra bellissima esperienza di bontà, attraverso la sfortuna. Il sesto giorno, camminando verso Imola, Giovanni percepiva un dolore alla gamba destra che quasi gli impediva di continuare. Quindi si sono fermati nel primo bar vicino alla strada, dove hanno chiesto per le informazioni su come raggiungere l’ospedale più vicino. La barista li ha dato le informazioni e dopo li ha dato anche i soldi per il bus, senza che loro l’avrebbero chiesto. E come se non bastasse poi anche l’infermiera gli ha dato il passaggio per la stazione.

Ci sono stati pure gli scambi tra loro e la gente che li ha incontrati. Il loro pellegrinaggio suscitava meraviglia. Alcuni hanno espresso rispetto per la loro scelta, altri li incoraggiavano. Alcuni li aiutavano, specialmente se chiedevano qualcosa; altri erano ispirati a fare un percorso simile. Molti non sapevano cosa pensare di questi ragazzi, e alcuni, non tanti, avevano reazioni negative.

Questi sono dei bellissimi segni della bontà e attenzione che la gente ancora ha nel proprio cuore anche in questi tempi che sembrano pieni di paura, incertezza e dubbi. Per loro è stata pure una esperienza di come Dio si prende cura per gli esseri umani, tramite le persone e le situazioni giuste.

Purtroppo il percorso si è concluso in anticipo. La prima a cedere è stata la gamba di Giovanni, che ha avuto una tendinite al sesto giorno, dopo 130 km di “passeggiata”. La seconda a soccombere è stata la gamba di Urban, colpita con una forma di infezione di tessuto sottocutaneo dopo otto giorni e 180 km di cammino.

All’ultimo del gruppo che era ancora sano e forte, Filippo, è stato detto di tornare a casa con Urban. Gli altri novizi di questo anno non hanno dovuto ritornare.
Ciò che rimane per loro è una meravigliosa esperienza di vita che, dopotutto, varrebbe la pena ripetere, per darle una piena conclusione. Forse in futuro.

Urban Gartner, novizio del secondo anno

Quando la preghiera diventa…preparare la colazione

di Alessandro Di Mauro

Durante la vita di noviziato capita, a rotazione, di dover preparare la colazione per tutti prima di iniziare la preghiera individuale della mattina. In questi casi uno di noi ha la necessità di svegliarsi un po’ prima degli altri per poter conciliare i tempi di preparazione e quelli di meditazione. Mi sono chiesto, alcune volte, se davvero sia necessaria la nostra presenza nel fare questo servizio o se ci sia una ragione più profonda per farlo.

Da un po’ di tempo la mattina quando suona la sveglia sento, spesso, nel mio cuore il desiderio di incontrare il Signore durante la mia preghiera personale e nella celebrazione Eucaristica che viviamo quotidianamente. Mi sono però accorto che anche quando devo anticipare la sveglia per la colazione il desiderio non cambia e mi sembra quasi che anche quest’ultima entri nella dinamica di incontro con Lui.  Mi sorge allora una domanda: è possibile che anche il gesto di preparare la colazione per tutti, rientri in qualche modo in una forma di preghiera? Per rispondere a questa domanda me ne pongo subito un’altra: qual è il senso della preghiera cristiana? Credo che la preghiera sia un incontro con il Signore per approfondire sempre più la comunione di vita con Lui. Come diceva Santa Teresa D’Avila è il momento in cui incontro l’amato. D’altra parte se leggiamo i Vangeli, Gesù stesso, spesso, si fermava a pregare da solo nell’intimità del dialogo con il Padre, tanto da far scattare agli Apostoli il desiderio di capire come pregare: ‘Signore insegnaci a pregare’. Quali esigenze li hanno spinti a porre questa richiesta? Sicuramente l’esempio di Gesù sarà stato un elemento trainante: come prega il maestro è bene che preghiamo anche noi; ma credo, che, in primis, avessero il desiderio di vivere lo stesso incontro di Gesù con Dio Padre. Nella preghiera quindi si incontrano due libertà: quella del credente che ricerca il Signore e quella di Dio che ha il desiderio di farsi ascoltare da chi lo prega. Questo è anche il motivo per cui è, spesso, complicato pregare, perché si intrecciano da un lato una dinamica soprannaturale, per cui la preghiera è un dono di Dio, per il quale occorre preparare il proprio cuore; dall’altro è un incontro umano che avviene nella vita ordinaria, una sfida a  riconoscere la voce di Dio spesso coperta dal frastuono della quotidianità.

Ma torniamo alla colazione! Cosa c’entra tutto questo con la sua preparazione? Niente, se una persona si approccia alla preparazione, pensando che lo scopo sia quello di aver pronto in orario un po’ di latte, di caffè e di the. Ma se uno vive questa operazione assaporandone ogni singolo momento – dalla presa delle caffettiere alla loro preparazione, al sentirne il fischio del caffè pronto e gustando il calore che i vapori emanano quando si versa nel thermos – pensando che questo gesto sarà di aiuto per i confratelli, per coloro che il Signore gli ha messo accanto, qualcosa cambia. Vivendo la preparazione in questo modo anche questi gesti possono diventare un incontro con Dio Padre, per il quale riconosco nell’altro un fratello per cui vale bene la pena perdere mezz’ora di sonno.

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