GESUITI noviziato
Noviziato della Provincia Euro-Mediterranea della Compagnia di Gesù
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Poesia, Parola e Catechismo

«Amai trite parole che non uno/ osava. M’incantò la rima fiore/ amore, / la più antica difficile del mondo.
// Amai la verità che giace al fondo, / quasi un sogno obliato, che il dolore / riscopre amica./ Con paura il
cuore / le si accosta, che più non l’abbandona. // Amo te che mi ascolti e la mia buona /
carta lasciata al fine del mio gioco.» (Amai, Umberto Saba).

La poesia di Umberto Saba mi fa pensare alla ricerca. L’autore sembra trovare attraverso l’arte e l’esercizio della scrittura una verità delle cose e nelle cose, una verità che è «al fondo». Non è in superficie, non risulta immediatamente visibile ma va cercata. Utilizza i verbi “riscoprire” e “accostarsi”. Esprimono l’atteggiamento di chi ascolta. Immagino Saba non alle prese con il possesso prepotente della verità che cose che contro di lui cozzano, che lui incontra. Si tratta piuttosto di una ricerca che ascolta, attende e contempla ciò che emerge dal contatto particolare e quotidiano con la vita. E solo in un secondo momento elabora, pensa, tematizza.
L’altra sottolineatura importante è la delicatezza espressa dalla rima “fiore amore” al cospetto della quale il poeta sperimenta l’incanto. La verità di cui Saba scrive non si impone come regola matematica garantita da passaggi insindacabili. È delicata, rispettosa, sottile, soffice… pare entrare nel componimento e nella vita dell’autore quasi in punta di piedi,
Ultima caratteristica è l’alterità. La verità o il messaggio o, per usare un termine altisonante, l’insegnamento colto non è posseduto dall’inizio, non è nelle mani e nella mente del poeta. Lui piuttosto, ascoltando e contemplando, lo trova e si lascia incontrare da questa verità.
Ricerca/ascolto, delicatezza, alterità. Sono le tre parole che descrivono anche la mia relazione con la Parola di Dio. Preciso che l’esperienza a cui mi riferirò nell’articolo è la meditazione su un brano biblico, pur consapevole che Dio può donare quando vuole un’esperienza che potrebbe considerarsi sua Parola.
Quando prego sperimento ciò che Saba scrive in Amai. Mi siedo, chiudo gli occhi, cerco di fare silenzio dentro me e dirigo l’attenzione verso il Signore. Leggo il brano su cui ho scelto di soffermarmi in preghiera. Un termine o una frase mi colpisce, mi interroga, incuriosisce, coinvolge l’affettività accarezzandola. Mi rendo conto che quello è un appuntamento col Signore, è il luogo dove lui vuole comunicarmi qualche cosa, un messaggio. Allora penso e ripenso, custodisco nella mente quel termine o quella frase… in una parola: ascolto. Mi pongo in un atteggiamento di ascolto.
Possono realizzarsi diverse possibilità. Magari una situazione che sto vivendo si fa chiara o emerge un ricordo che spiega qualche cosa del mio presente o viene suscitato un desiderio di cui prima non ero consapevole. E questo movimento interiore è accompagnato da consolazione, da una gioia delicata e tranquilla. Salvo eventuali eccezioni, il Signore non è un terremoto che sconvolge, ma una brezza leggera.
Mi parla con delicatezza.
Termina la preghiera e faccio altro, ma permane la consapevolezza che quella Parola, quella esperienza di vicinanza del Signore o messaggio comunicatomi, come dir si voglia, è incontro con un’alterità. Mi sono trovato faccia a faccia con un Altro, non ho elaborato in una solitudine autoreferenziale quella Parola. È stata pronunciata per me da una bocca non mia, Ascolto, delicatezza, alterità… descrivono bene anche una seconda esperienza che vado vivendo una
volta a settimana, il martedì.
Da novembre, infatti, ogni martedì, vado in una parrocchia fuori Genova, a tenere una lezione di catechismo a dieci bambini di sette anni, che frequentano la seconda elementare. È la prima volta che mi trovo a vivere questo apostolato. Mi sono subito accorto che non è sempre facile trasmettere dei contenuti.
I bambini chiedono ascolto. Assumo questo atteggiamento per capire quale linguaggio usare, quali strumenti. Necessitano di un linguaggio essenziale, semplice, ma al tempo stesso chiaro e aperto a possibili improvvise domande, alle loro giuste curiosità. Uno strumento che utilizzo spesso è il disegno.
Ho notato che a loro piace e che permette loro di ricordare quanto dico. Ma non è solo questo… c’è di più!
Ascoltare i bambini significa anche ritornare sempre al centro della fede senza troppe scorciatoie: la relazione con la persona di Gesù.
I bambini non si impongono, esattamente come la verità di cui scrive Saba o la Parola del Signore. Si presentano a te con gli occhietti vispi e pieni di fiducia, con la vocina affollata di punti interrogativi e piccoli aneddoti da raccontare, le perplessità se non comprendono ciò che propongo. Sono l’immagine della delicatezza. Sono come la brezza leggera. Nonostante la loro vivacità alle volte chiassosa, conservano un accostarsi delicato, quasi in punta di piedi.
Infine, i bambini sorprendono. La loro capacità di riportarmi al centro della relazione con Cristo in modo delicato ma deciso mi permette di incontrare un’alterità. Mi insegnano infatti qualcosa su Dio e qualcosa su di me: sono custodi di un messaggio altro da me. Mi rivelano ad esempio quanto sia importante e bello che io possa prendermi cura di qualcuno, di loro.
Sono, e lo dico non seguendo una retorica vuota, lo dico perché consapevole, un dono.

 

Carmine Carano, novizio del secondo anno

Chiamati e inviati

di Gianluca Severin

La vita e il mondo in cui ci troviamo sono un mistero da contemplare e qui siamo chiamati a giocare la nostra relazione d’amore. Per amore possiamo ridere e piangere, possiamo ascoltare, parlare e tacere, possiamo progettare e lavorare, contemplare e condividere, possiamo attendere e incontrare; ogni fatica e ogni consolazione, ogni lotta e ogni desiderio, ogni dolore e ogni conforto, se vissuto nell’amore è giogo dolce e carico leggero (Mt 11,30).

Al principio della ricerca di questo amore c’è la scoperta in noi di un desiderio più intimo e recondito di noi stessi: “O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’acqua” (Sal 62,2). Lo cerchiamo, ciechi e assetati, e tutto si dilegua come ombra, tutto ha il sapore di polvere, ogni parola ammutolisce; sperimentiamo quanto sia tutto tremendamente relativo all’infuori di quell’Unico Che è ineffabile, Che non ha nome, Che supera ogni nostra comprensione. Qui, nel deserto, Egli parla al nostro cuore (Os 2,16). Ascoltando ci scopriamo amati, liberati dal nostro piccolo mondo asfittico, sciolti dall’angoscia di doverci aggrappare a denti stretti a noi stessi per non perderci. L’amore, che saziando di sé di sé asseta (Purgatorio, Canto XXXI), spezza la nostra paura e il nostro segreto egoismo e ci apre all’infinita libertà di Dio. Ma il cammino non termina qui.

Egli, il Signore della vita Che vuole, crea e benedice ogni creatura (Gn 1), ci invia nel mondo, al servizio di ogni creatura: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Ritorniamo con Lui nel mondo e Gli siamo più vicini proprio dove Egli parrebbe più lontano da Se stesso: nel Suo vero amore per il mondo. Qui ritroviamo le Sue creature, che nella nostra superbia avevamo prima idolatrato, poi disprezzato, le contempliamo nello sguardo del Creatore. Ritroviamo il piccolo nel Grande, il finito nell’Infinito, la realtà in Dio, Che è tutto in tutto, Che, origine e fine di tutto, tutto abbraccia. Tutto ciò che amiamo si rivela vero, autentico, definitivo nella Sua luce, nella Sua pace, nel Suo silenzio in cui ogni creatura, inclusi noi stessi, vibra. Vediamo ogni cosa non come un idolo, non come un nulla, ma nella propria verità, bontà e bellezza davanti a Dio, in Cui tutto si ama, tutto si loda, tutto si riconosce magnifico.

Gli Esercizi Spirituali sono un cammino affinché i nostri affetti siano riordinati e il nostro amore risorga e cammini, puro e libero, nello Spirito, con il Figlio, verso il Padre. Per amore siamo vigili a lasciare tutto ciò che offusca e intiepidisce, che non è compimento della nostra sete d’amore, a nulla anteporre al suo amore e servizio; per amore siamo liberi di donare tutto noi stessi con generosità, gustando fino in fondo la vita e la Sua pienezza: siamo così sempre pronti, in ogni circostanza, ad amare come Colui che ha amato il Padre con tutte le Sue forze, con tutta la Sua intelligenza, con tutto il Suo cuore e noi, Suoi fratelli, come Se stesso (Mt 22,37-40; Mc 12,29-31; Lc 10,25-28).

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