GESUITI noviziato
Noviziato della Provincia Euro-Mediterranea della Compagnia di Gesù
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Un ricordo di povertà*

di Piero Loredan

“Conosciamo la grande difficoltà che emerge nel mondo contemporaneo di poter identificare in maniera chiara la povertà. Eppure, essa ci interpella ogni giorno con i suoi mille volti segnati dal dolore, dall’emarginazione, dal sopruso, dalla violenza, dalle torture e dalla prigionia, dalla guerra, dalla privazione della libertà e della dignità, dall’ignoranza e dall’analfabetismo, dall’emergenza sanitaria e dalla mancanza di lavoro, dalle tratte e dalle schiavitù, dall’esilio e dalla miseria, dalla migrazione forzata.” Queste parole dal Messaggio del Santo Padre per la I Giornata mondiale dei poveri il 19 novembre scorso, mi riportano alla mente un’esperienza estiva. Per circa 10 giorni vivo in una comunità di recupero di tossicodipendenti in alternativa al carcere. Sono ragazzi con reati penali alle spalle, in condizione di arresti domiciliari. Non un “convitto di educande”, come mi avverte sornione uno dei ragazzi appena arrivo.

È una straordinaria opportunità che mi porterò nel cuore nel mio cammino di gesuita. E non solo per la ricca cucina locale, la pasta sempre cotta al punto giusto, e quel speciale non so che così difficile da recuperare nei miei luoghi d’origine.

Incontro una realtà di cui non so nulla se non qualche abusato luogo comune. Risuonano forti le famose parole di Papa Francesco ai sacerdoti “Questo io vi chiedo: essere pastori con l’odore delle pecore, pastori in mezzo al proprio gregge”. Non ha senso perdersi in astratti discorsi teologici lontani dalla realtà, e non conoscere la gente, capire le diverse situazioni – anche le più difficili – da vicino.

E la piaga della tossicodipendenza, “una malattia cronica” (come uno dei ragazzi l’ha definita) è un male da combattere con tutte le armi possibili. Purtroppo l’ammirevole impegno e dedizione degli educatori – per me una sorprendente testimonianza di servizio – non può fare molto se non c’è la motivazione e il profondo desiderio dei ragazzi di uscirne.

Incontrare tanta umanità è affascinante. Vedo il loro humour, la loro ironia in situazioni grottesche e assurde, accanto alle loro qualità, i lati positivi presenti anche nei momenti più bui. Tutto questo mi induce a riflettere sulla presenza del Signore in ogni persona. Tra loro – in genere tristemente bollati come rifiuti umani – c’è tanta bellezza, anche se non sempre evidente.

L’ironia di Andrea, l’ateo in ricerca che ha chiamato il figlio Cristiano, lo spirito servizievole di Emanuele, che si fa in quattro perché tutto funzioni nella comunità, la disponibilità di Giuseppe, sempre pronto ad aiutare l’altro, sono solo alcune delle piccole perle raccolte, un invito a riflettere sulla bellezza dell’uomo e della vita, un regalo di Dio da onorare e valorizzare in tutte le situazioni.

E, ancora una volta, uno sguardo ironico permette di vivere con leggerezza la tragicità di alcune circostanze. Guido, un ragazzo con cui vado a correre si mette in testa che la vita del gesuita è facile e bella – studi gratuiti, viaggi, esperienze – al punto da pensare di intraprendere il cammino sulle orme di Sant’Ignazio. Il fatto di avere la bestemmia facile sembra non toccarlo minimamente, e alle mie timide osservazioni risponde sorpreso con un “Piero ma come sei fishhhcale”. È bastato fargli presente che i gesuiti non fanno sesso, per vedere crollare ogni suo dubbio in merito alla presunta vocazione.

Tanti anche i momenti tristi che mi lasciano sconforto e amarezza. Per alcuni di loro – privi di vera motivazione o semplicemente troppo radicati nel vizio della droga – ogni attività o proposta di recupero sembra vana. In questi momenti d’insuccesso e delusione vorrei abbandonare tutto. Perché restare qua se non c’è niente da fare? Un mattino mi richiamano alla vita le belle parole di uno degli educatori del centro: “Piero, siamo chiamati ad amare, non a riuscire“.

E a volte, ascoltando alcune delle loro storie faccio fatica a trattenere le lacrime, molte mie certezze crollano. Ivan mi gela il sangue quando mi dice con un sorriso che, ficcandosi l’ago in vena, non ha paura di morire ma di restare in vita perché “con tutte quelle schifezze con cui tagliano l’eroina non sai mai se sopravvivi, ma a questo punto meglio la morte”. Daniele entra nei dettagli dei suoi viaggi di narcotrafficante con i preservativi imbottiti di coca nello stomaco. E Mirko con tutte le carte in regola per avere una vita bella e dignitosa (moglie, figli, azienda familiare) guarda con timore il giorno del ritorno a casa per la certezza di ricadere nel vizio in quanto “il richiamo della sostanza è per me troppo forte”. Edoardo a 23 anni è sopravvissuto a due overdose.

Hanno visto amici e parenti morire per droga o suicidio, e spesso vengono da situazioni familiari agghiaccianti. Ascoltando queste storie penso alle parole di Papa Francesco durante le sue visite ai carcerati “Perchè loro e non io? Questo è il mistero che mi unisce a loro“. Le loro storie e situazioni mi hanno imposto da un lato una sospensione del giudizio personale e dall’altro il dovere/desiderio di non passare oltre davanti agli interrogativi della sofferenza. In che modo ancora non lo so.

Non saprò mai quanto io sia riuscito ad aiutare i ragazzi; certo loro hanno aiutato me. Mi hanno accompagnato nel mio cammino di crescita verso Dio, con e attraverso la sofferenza e la povertà umana.

 

*I nomi dei personaggi di questo articolo sono stati modificati per impedirne l’identificazione a tutela della loro privacy

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Votati alla libertà

di Gianluca Severin

Gesù venne per la salvezza di tutti e tutti chiama a seguirLo. E noi vorremmo ma egoismi, paure, pigrizie ci trattengono, ci inducono a rimandare, ci convincono a rinunciare. Gesù, venuto per proclamare ai prigionieri la liberazione, per rimettere in libertà gli oppressi (Lc 4,18), veramente uomo, mostrò una vita libera di amare.

Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? (Mc 8, 36) chiedeva Gesù alle folle che Lo acclamavano per il pane. Liberi dal vivere solo per produrre e consumare, siamo liberi di lavorare per vivere i nostri valori, d’amare. Liberi da suggestioni artificiali, siamo liberi di conoscere il valore delle cose, d’assaporare sobri ed essenziali la vita in pienezza. Liberi da frenesie di accumulare o dissipare, siamo liberi di ringraziare, d’apprezzare il frutto del lavoro, di risparmiare, di investire, di aiutare, di donare. Alcuni vivono questo nel distacco, altri nella cura del mondo, tutti nella giustizia. Gesù ci invita a essere liberi nelle relazioni con le cose e il mondo, a essere poveri.

Forse anche voi volete andarvene? (Gv 6, 67) chiedeva Gesù ai discepoli che aveva scelto, che Lo avevano seguito ma che, alle Sue parole, dubitavano. Liberi da brame di dominio, siamo liberi di camminare con chi è vicino, di lasciare andare chi guarda lontano, di accogliere chi viene e chi torna. Liberi da maschere per intimidire o sedurre, siamo liberi di sfiorare e farci sfiorare nell’intimo, di desiderare, di donarci in comunione d’amore. Liberi dal nichilismo della carne, siamo liberi di rispettare la libertà e la dignità d’ogni persona, di inabissarci nel mistero della vita, in ogni gioia, in ogni dolore. Alcuni vivono questo nella predilezione per una persona del matrimonio, altri nella disponibilità universale del celibato, tutti nella cura fedele delle nostre famiglie, amici, comunità. Gesù ci invita a essere liberi nelle relazioni con gli altri, a essere casti.

Non sia fatta la mia, ma la tua volontà (Lc 22, 42) chiedeva Gesù al Padre nell’ora della Passione. Liberi da pretese di individualismo e autosufficienza, siamo liberi di avere “gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5). Liberi dalla menzogna che Dio sia l’Oppositore, il Nemico della nostra volontà, che gli altri siano voleri a noi opposti da tenere lontani o piegare, siamo liberi di vivere, con gli altri e per gli altri, da figli e fratelli. Liberi dal crederci padroni della Storia, siamo liberi di cooperare alla Sua opera di redenzione. Alcuni vivono questo facendo riferimento alla propria comunità, altri al superiore, tutti nel discernimento. Gesù ci invita a essere liberi nella relazione con Lui, a essere obbedienti.

Dunque perché professare i voti?

Perché la scelta di seguirLo diventa vita vera incarnandosi in uno stile concreto, fedele alla nostra storia, identità e chiamata. Tra le innumerevoli strade per seguirLo, noi novizi discerniamo se il modo di procedere indicato dalle Costituzioni e dalla tradizione della Compagnia è la nostra. L’acqua, pur tra ostacoli e fossati, tende al mare, a tornare donde è venuta; e vi torna attraverso tracciati scavati nel tempo. La santità non è un rivo inaridito, né una dispersa palude ma un fiume che scorre, irriga e dona vita.

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