GESUITI noviziato
Noviziato della Provincia Euro-Mediterranea della Compagnia di Gesù
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Chiamati ad amare

25 Ott 2020

Nel mese di luglio di quest’anno, insieme con un altro novizio, Daniel Nørgaard, abbiamo fatto un’esperienza di servizio con i poveri, “il mese di ospedale”, come lo chiamava Sant’Ignazio al suo tempo, una delle esperienze più importanti del noviziato. Un mese di volontariato nella Comunità Papa Giovanni XXIII a Cittadella. Daniel in una casa di recupero ed io al servizio di un ragazzo boliviano con handicap grave, di nome Manuel, e ai ragazzi della casa famiglia con i quali abita.

Vi racconto un po’ della mia esperienza. L’incontro con Manuel, la sua mamma adottiva Nadia e la casa famiglia di Paolo e Anna mi ha aperto a un mondo che non conoscevo. Mi hanno specialmente colpito i loro racconti sulla vita missionaria trascorsa in vari Paesi, le loro scelte di vita, il loro modo di donarsi a Dio. Era bello vedere come il Signore ha operato grandi cose attraverso le loro vite. Ho capito che ci sono molte forme per consacrarsi al Signore, e che questi laici hanno trovato modi molto fecondi di condividere la vita con i più poveri e accogliere i più vulnerabili.

Le difficoltà nel vivere con una persona disabile possono essere diverse e ovviamente cambiano molto la vita di chi gli sta accanto. Nel farmi vicino a Manuel non ho solo dato una mano con cose pratiche, ma attraverso le difficoltà che ho vissuto con lui ho potuto maturare nel mio modo di relazionarmi con gli altri. Hanno riecheggiato in me le parole di Gesù, che dice: “se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”, scoprendo che le fatiche e i dolori portano in sé gioie e speranze.

Vivendo così questo tempo con loro, le difficoltà che all’inizio sembravano grandi diventavano con il tempo la normalità della vita quotidiana, piena di episodi e momenti arricchenti. Nello stare accanto a Manuel giorno per giorno, mi sono sorpreso e meravigliato di come un suo semplice gesto, quello di aprire le braccia per chiedere un abbraccio, sia così carico di significato.  Questo bambino che non parla, non mangia da solo e non è capace di comunicare è riuscito comunque a parlare con il linguaggio dell’amore. Lui conosce un gesto, ben noto anche a noi, che è forse l’unico suo gesto che può essere compreso anche dalla nostra mentalità: quello di abbracciarti con forza e a lungo, desiderando essere abbracciato e amato.

Raul Ciocani, novizio del secondo anno

La gioia di scoprirsi amici nel Signore

di Nicolò Lorenzetto

La mia prima estate in Noviziato è stata colma di doni del Signore. I sentimenti di superficie potevano variare nel tempo, ma la gioia di sapermi inviato e insieme accompagnato da Lui è rimasta viva nel profondo del cuore lungo tutte le diverse esperienze estive, dal servizio a Bassano del Grappa al campo dell’Azione Cattolica dei Ragazzi nelle valli piemontesi, dalla settimana di visita alla mia famiglia fino al grande incontro con gli ospiti della Comunità Emmanuel in Puglia.

Confrontata con l’andirivieni geografico e la ricchezza apostolica dei mesi estivi, la quiete della “vita nascosta” a Genova potrebbe apparire meno entusiasmante. Ma proprio l’idea del ritorno alla casa del Noviziato era per me fonte di nuova gioia, quando a inizio settembre risalivo lo stivale in treno, saltando dai trulli tarantini a Salerno, e di qui costeggiando il Tirreno fino a raggiungere il capoluogo ligure.

Ero felice al pensiero di rivedere gli altri novizi, i compagni con cui avevo condiviso un anno di vita ed esperienze, felice di poter ascoltare quanto il Signore aveva donato a ciascuno nei rispettivi itinerari estivi. Ed ero desideroso di incontrare i nuovi compagni, che sarebbero arrivati di lì a poche settimane, rendendo la comunità ancor più variegata per lingue e culture di provenienza: il nostro gruppo inizialmente italo-ungherese avrebbe accolto in un sol colpo anche novizi sloveni, rumeni e maltesi!

Questa forma di “noviziato interculturale” può permetterci di toccare con mano, fin dal principio della vita religiosa, la multiforme ricchezza e l’universalità di quella Compagnia di Gesù, che già alla sua fondazione riuniva uomini di diversi territori. Non erano forse i primi dieci compagni baschi e castigliani, portoghesi e francesi? E non erano pure molto diversi tra loro, oltre che per lingue e culture, anche per età, storie di vita, disposizioni caratteriali? Giovani appena ventenni insieme a uomini maturi, spiriti di grande calma e dolcezza insieme ad animi inquieti e pronti ad “infiammare ogni cosa”, una volta lasciatisi infiammare in prima persona dall’amore del Signore… Una pluralità umana apparentemente irriducibile, che però trovava profonda unità a partire da quell’unica fede, e da quel comune desiderio di consacrare ogni sforzo al servizio del Signore e del “maggior bene delle anime”, che legarono insieme i primi compagni.

Anche noi novizi di oggi, pur con tutte le nostre mediocrità, sappiamo che il Signore ha voluto unirci nel suo amore, e che la fede e il desiderio di servizio permettono che si formi tra noi un legame più forte delle tendenze disgreganti e delle conflittualità che ogni gruppo umano molto variegato sperimenta, inevitabilmente, al suo interno. Così, all’inizio di questo nuovo anno di noviziato, mentre il mio sguardo abbraccia al contempo i cinque compagni con cui ho già condiviso un anno di cammino, e i dieci nuovi compagni arrivati appena tre settimane fa, sento rinnovarsi nel cuore il sentimento più proprio dei discepoli: la gioia di scoprirsi amici nel Signore.

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