Molte volte avrò sentito pronunciare durante la celebrazione eucaristica questa preghiera: “per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo”, ma solo adesso ne comprendo il significato più profondo. La liturgia ci trasforma in un solo corpo. Nella preghiera eucaristica preghiamo “affinché sian(m)o uno”. Questo è il frutto più importante che custodisco dopo il mini corso sulla liturgia che si è svolto qui in noviziato alcuni giorni fa.
Sempre più, tuttavia, assistiamo all’allontanarsi di persone giovani – e meno giovani – dalle liturgie ecclesiali, in Italia così come in tutto il mondo Occidentale. Se non si fa esperienza del Cristo Risorto, la liturgia difficilmente può comunicare qualcosa della vita spirituale in essa espressa.
Senza una relazione personale con Gesù, infatti, non si può partecipare alle liturgie senza sperimentare in essa una vuota esteriorità e una inutilità per la propria vita spirituale e non. La liturgia è vivere il mistero della salvezza, è partecipare al mistero dell’Incarnazione e della Resurrezione di Gesù, Nostro Signore.
La liturgia, dunque, è da vivere. I credenti vivono della liturgia che celebrano. È un’esperienza che ci cambia. In essa viviamo l’esperienza della bellezza del perdono invocato, della Parola di Dio ascoltata, dell’azione di grazie innalzata, dell’eucarestia ricevuta come comunione.
Dio si offre per noi nella liturgia. È il dono più bello che riceviamo. E ci rende uno, ci trasforma in comunità riconciliata con il nostro Creatore. Il cristiano, infatti, non è mai individualista. È chiesa, entra in una comunità. È questo quello che chiediamo incessantemente al Padre, di essere trasformati, di divenire un solo corpo, di essere in comunione con Cristo, con la Chiesa terrena, con la Chiesa celeste, con il Papa e con i nostri vescovi. Questo è il fulcro di ogni celebrazione eucaristica.