Cosa c’entra la psicologia con il cammino di fede di un ventenne?
La domanda mi raggiunse quando a diciannove anni andavo scoprendo il complesso mondo del seminario diocesano. Il rettore organizzò una serie di incontri comunitari con una psicologa. Quegli appuntamenti furono mattoni per costruire una prima risposta, risposta che ha assunto forma sempre più precisa e concreta col trascorrere del tempo e il susseguirsi delle esperienze. Mi viene un’immagine per dirne qualcosa: la coda del pavone che si apre rivelandosi bella e articolata secondo diversi colori. O penso anche a un’altra metafora: lo schiudersi di una rosa che effonde il suo profumo.
Anche il noviziato è stato un’occasione dove confrontarmi con la psicologia. Una psicoterapeuta ha tenuto a noi novizi di secondo anno un corso sugli aspetti umani, sulle dinamiche legati ai tre voti di povertà, castità, obbedienza nel settembre dello scorso anno. Ci ha poi chiesto di leggere libro che tratta il tema a partire dall’identità. L’abbiamo rivista a maggio per condividere le risonanze emerse e sedimentatesi al termine del corso e della successiva lettura. Quest’incontro, come tutte le esperienze simili precedenti, è stato una benedizione. Mi accorgo che la mia umanità assomiglia molto a un diamante munito di molte facce. Diversi elementi, significati si intrecciano e vanno a costituire la persona che sono oggi. Gli strumenti della psicologia sono attrezzi utili a decifrarli e comprenderli sempre più profondamente, e a capire quale ruolo e quale spazio possano occupare nel mio presente.
Tuttavia, non si tratta di un lavoro autoreferenziale di un operaio intento soltanto a mettere ordine nel proprio cantiere. C’è di più. Comprendere e sviluppare quanto vive in me e mi costituisce è la via per orientare gli affetti, tutta la persona al Signore, con la consapevolezza che lui per primo desidera la migliore crescita possibile della mia umanità. La sua grazia la attraversa, come una luce delicata che sfiora e illumina i molteplici volti di un diamante.