Nel film “The Terminal” di Spielberg il protagonista rimane bloccato in un terminal per via di un problema di documenti e non può ne tornare a casa ne uscire dall’aeroporto. È costretto a vivere per un certo periodo nel terminal. Si trova ad avere a che fare con persone che frequentano quel luogo solo per qualche ora, o che si trovano a lavorare lì, ma non che vivono lì come lui. Si abituerà a trovare amicizie e una sua normalità in un luogo del genere. A parte la situazione surreale del film, in queste ultime settimane anche il nostro tranquillo noviziato mi è sembrato un luogo di passaggio. Non certo come un terminal, ma è diventato un luogo di passaggio per lingue, culture e storie diverse. Con i voti dei nostri compagni e la loro partenza una parte del noviziato è partita per Roma. Con loro sono partite risate, difficoltà e le amicizie nate negli ultimi due anni. Al momento del saluto davanti al furgoncino carico dei loro bagagli mi sono accorto che il noviziato è anche un luogo di partenze importanti. Non solo per la quantità di valigie che occupavano tutto lo spazio disponibile. Intendo per la quantità di esperienze maturate. I nostri compagni partiti per Roma avevano alle spalle due anni molto ricchi.
Una settimana dopo ci siamo ritrovati con i novizi del nuovo anno a guardare il porto di Genova nel sole di ottobre. In una giornata limpida, da seduti vedevamo tutta la linea della costa. In quel momento ho sentito il noviziato in un modo diverso dal solito, come non mi accadeva da un po’. Un luogo per vivere esperienze nuove, una nuova casa, un porto in cui attraccare. Questi giorni mi fanno riflettere sul noviziato come terra di chi parte e di chi arriva. Il luogo in cui si atterra e da cui si prende il volo. In effetti c’è chi parte e chi rimane. Alla luce di quel sole guardavo i miei compagni, ormai novizi del secondo anno, noi che rimaniamo. Poi guardavo i nostri nuovi fratelli. Pensavo che così inizia lo scambio, da una parte le nuove energie e storie di vita che arrivano da fuori, dall’altra la nostra piccola ma significativa esperienza del noviziato da far passare. In questo modo anche noi che rimaniamo siamo trasformati.
Così però manca qualcosa al quadro del noviziato. Qualche giorno fa infatti guardandoci a tavola con tutta la nuova comunità riunita mi chiedevo: è vero che noi siamo rimasti, ma alla fine chi rimane veramente in noviziato? La risposta era chiara. I nostri formatori, ciascuno col suo ruolo, ciascuno con la sua storia. Un po’ come il personaggio del film, vivono in un luogo che sembrerebbe solo di passaggio. Sono coloro che in questo tempo prezioso ci aiutano a dare una forma alla nostra vita. Ripenso a quante volte hanno aggiunto ciascuno il proprio contributo al noviziato, dal caos della cucina al silenzio del mese di esercizi. Sono loro che provano a dare costanza ad ogni nuovo inizio in questa casa. Se osservo i nostri cambiamenti di questo anno lo riconosco. Anche con la loro vita spesa qui in noviziato ci testimoniano qualcosa. Questo mi è sembrato un motivo più che valido per cui ringraziare. Ringraziare per chi rimane per permettere ad altri di partire.