2 Novembre: il giorno dell’anno scelto per pensare alla morte.
Già, la morte. Cosa ne sappiamo? Abbiamo fatto esperienza solo di quella degli altri. Eppure è la nostra unica certezza: la dovremo vivere. Tutti. Una folla di paure: paura di non esistere più, paura dell’ignoto che ci aspetta, paura della separazione.
Tante le risposte: Epicuro rassicura: “la morte non è niente per noi: quando c’è lei, non ci siamo noi, e quando noi ci siamo, lei non c’è”. Orazio ci dice: “esisterò sempre, se sempre vorrai ricordarmi”, il rito funebre e la sepoltura garantiscono la pace, ecc. ecc. ecc.
Molto significativa la risposta di Ettore, nel momento finale del duello con Achille: “Ormai mi ha raggiunto la Moira. Ebbene, non senza gloria morirò” : la morte (e lo “stile” di essa) diventa la sintesi della nostra esistenza.
Socrate ci regala l’espressione più alta della sua saggezza, Petronio la dosa per non subirla, il filosofo stoico vede in essa la prova suprema.
Si può vivere senza saper morire?
Gesù, il Dio incarnato, e la morte. E’ Gesù-uomo che si confronta con la morte. La morte non appartiene all’essenza di Dio. Gesù, come Dio, non può conoscere la morte. Perciò Gesù, come tutti noi, soffre la separazione della morte e piange Lazzaro; non vuole la morte e richiama alla vita il figlio della vedova di Naim; e quando è vicino alla sua, prega che si allontani: “Padre, se è possibile, allontana da me questo calice…” e sulla croce patisce la solitudine: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (quando si muore, si muore soli, canta Fabrizio de André)
Gesù però ritorna dopo la morte (“unde negant redire quemquam” da dove dicono che non torna nessuno), ma né lui, né i resuscitati del Vangelo ci raccontano cosa c’è dopo la morte…
E’ un’altra l’informazione che ci dà: “Io sono la via, la verità, la vita. Chi crede in me non morirà”.
Allora?
Per imparare a morire, basta imparare a vivere. In cerca di verità. Seguendo la sua via, che è sempre e solo quella dell’amore. E come per venire a questa vita siamo arrivati da un mondo noto (il seno materno) a uno ignoto, con un passaggio più o meno faticoso (il parto), così ci capiterà una seconda volta, con un passaggio più o meno faticoso.
“Mortem plenus exspecto” diceva Seneca.
Posso aspettare la morte appagato, se ho imparato a vivere.
Scritto da Umberta Parodi, prof.ssa di greco dei novizi