Il 25 giugno, Daniele, Emanuele ed io siamo partiti per il terzo ma non ultimo esperimento di noviziato: il pellegrinaggio in povertà.
Come presentato dalle nostre Costituzioni al n°67, lo scopo del pellegrinaggio è di lasciare ogni speranza in qualsiasi cosa creata… per riporla solamente in Dio nostro padre.
Ma cos’ ha di tanto particolare questo pellegrinaggio che lo rende così diverso dagli altri? Perché è così atteso e talvolta anche temuto dai novizi, ma soprattutto dalle famiglie dei novizi?
Questo è un pellegrinaggio che si percorre a piedi, dove la meta non è come al solito un luogo famoso e significativo, dove avvengono miracoli. No, nel nostro caso le mete sono le più diverse e disparate, proprio come a sottolineare che la cosa importante di un pellegrinaggio non è il luogo fisico che raggiungi o l’itinerario geografico che attraversi bensì il percorso interiore che intraprendi.
Un’altra caratteristica è che si parte senza cellulare o la possibilità di poter contattare il Noviziato, familiari o conoscenti e in fine, come forse si intuisce dal termine povertà, si parte senza soldi e senza la possibilità di riceverne durante il cammino. Ci si affida unicamente alla provvidenza!!
Bene, a parte queste caratteristiche… è un pellegrinaggio normale: si prega (soprattutto di trovare da mangiare e da dormire), si cammina e si partecipa alle celebrazioni.
Per noi questi sono stati 12 giorni splendidi, con salite e discese, alti e bassi, momenti di desolazione e di sconforto ma anche e soprattutto di grande consolazione, di stupore, di meraviglia e di lode. Il Signore ci ha donato ciò di cui avevamo bisogno nel momento in cui ne avevamo davvero bisogno, né prima e né dopo, né più e né meno.
Qualche volta siamo stati rifiutati, ma tante volte accolti.
Abbiamo capito che se si è stanchi si può dormire dappertutto. Dai freddi e duri pavimenti delle aule parrocchiali ai caldi materassini di una scuola materna, su bellissimi prati verdi, al tepore del sole pomeridiano o nel disagio della notte in un campo da calcio con un manto erboso più simile ad una selva oscura che ad un prato all’inglese.
Abbiamo mangiato di ciò che ci è stato offerto generosamente e a piene mani da parroci, laici, ristoratori, baristi, fruttivendoli, fornai, aziende agricole e dalla stessa natura che è stata particolarmente generosa, offrendoci nei momenti di pausa delle squisite ciliege, prugne, gelsi, lamponi e fragoline di bosco.
È stato bello trovare conforto nei sorrisi delle persone alle quali chiedevamo aiuto, ospitalità o una semplice indicazione e soprattutto è stato bello trovare il volto del Signore ogni qual volta ci siam guardati, dentro e fuori, per ciò che siamo.
Siamo diventati poveri ed allo stesso tempo ricchi di tutto ciò che il Signore ci ha donato e continuerà a donarci, se sapremo ancora e ogni giorno farci poveri come Lui.