La sequela è esigente, ma è allo stesso tempo un dono; non è frutto di uno sforzo, l’unico sforzo è quello di affidarsi, di nuovo e di nuovo e di nuovo ancora. E quindi più che uno sforzo è un abbandonarsi, un non contrapporsi, un non resistere, un vincere i propri sforzi di ritagliarsi il proprio spazio di “libertà”, comprendendo che è solo il Signore che può liberarmi, e non io. Anzi, piano piano, tutti gli ostacoli e le resistenze che si sperimentano diventano paradossalmente un’occasione per riaffidarsi, per riabbandonarsi alle sue mani e riconoscere la propria povertà, la propria miopia, il proprio strabismo.
È una tensione feconda, che porta a uscire da sé e a diventare sempre più simili a Gesù, e non per un proprio sforzo, ma per l’azione di un altro, al quale con i voti manifestiamo il nostro affidamento, come in un patto, perché possiamo poi ricordarcene nei momenti più difficili, perché possa lui ricordarcelo, lui che in quel momento diventa ufficialmente l’altra parte del “contratto” della nostra vita, e può a buon diritto esigere da noi che lo rispettiamo, aiutarci in questo, sostenerci, renderci sempre più liberi nel farlo.
Come l’amante con l’amato, egli, a mano a mano, si riversa in noi, e noi in lui; ma per fare questo deve rendere il recipiente capace di contenerlo, sennò esso si spaccherebbe, perché non ancora pronto a riceverlo. Questo è il solo sforzo al quale siamo sottoposti: lasciarci plasmare dalle sue mani per diventare capaci di lui, abbandonarci sempre più a lui perché sia lui a colmarci, e non più noi; perché la sua acqua di vita possa intridere la spugna del nostro corpo, di ciò che noi siamo, e portarci a compimento. Non cambiarci, ma portarci al nostro stato più nobile, più elevato, più pieno, quello che lui ha pensato per noi prima ancora che nascessimo, prima della creazione del mondo, e che noi neanche lontanamente potevamo arrivare a immaginare, chini sotto le nostre incombenze che spesso ci celano il vero senso delle cose, la loro reale natura.
Il Signore ci dona occhi nuovi, un cuore nuovo, un’anima nuova, la nostra, ma rinnovata, dopo grande travaglio e fatica, perché possiamo essere simili a lui in tutto, recipienti capaci di contenere il suo verbo, che umanizzandosi in noi ci divinizza, portando a compimento la nostra vera natura.
Io desidero essere questo per te, e tu, che mi hai chiamato a questo desiderio, vieni a colmarmi della tua grazia, della tua forza, del tuo amore, perché io sia abile, atto a incontrarti nella tua forma più piena, quella che, sola, può portare a compimento ciò che sono, ciò che tu mi hai chiamato a essere, ciò che tu hai plasmato con le tue mani e stai continuamente sostenendo con il tuo spirito, perché divenga creatura viva, viva di quella vita che sei tu, e che è nostro mandato portare agli altri, lasciandoci attraversare, per donarlo a nostra volta, da quello spirito che tu continui a soffiare dentro di noi.
2021- 09- 28 Guglielmo Scocco