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La grande onda di kanagawa

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A colloquio col mare

19 Set 2016

Sono nato in una città poco distante dal mare e da bambino ho trascorso tutte le mie vacanze al mare, ad eccezione di qualche viaggio in città d’arte. Da grande ho continuato a preferire il mare alla montagna e ho pensato che questa mia passione fosse qualcosa di assodato, eppure da quando vivo in noviziato il mare e la sua forma hanno assunto un significato nuovo, direi che si sono dilatati ai miei occhi!

Me ne sono accorto in questi giorni di ritorno, dopo aver trascorso l’estate fuori Genova, per gli esperimenti estivi. La bella stagione, l’aria fresca del tardo pomeriggio e la bella veduta mi hanno attratto e più di una volta mi sono ritrovato seduto, in silenzio, ad osservare il mare. Incantato e meravigliato, l’ho scrutato per molte ore, da sinistra verso destra, e viceversa; dalla cerniera che separa il cielo, verso i limiti del porto, immaginando squeri, barche e persone.

Quest’estate, quindi, tra un esperimento e l’altro, non ho potuto fare a meno di fermarmi a osservare quest’acqua che mi ammalia. Di fronte al mare ho pensato molto e soprattutto ho riletto, volta per volta, le mie esperienze estive: il servizio ai tossicodipendenti, la visita alla mia famiglia, il pellegrinaggio in povertà, la settimana in montagna a studiare e approfondire i temi dell’Apocalisse di San Giovanni e della giustizia riparativa, l’insegnamento dell’italiano agli scolastici stranieri ed infine, la mia esperienza a Catania con la comunità del Crocifisso dei miracoli.

Ogni volta mi sono ritrovato con un apporto esperienziale diverso, con una materia nuova, tutta da assimilare e da comprendere – d’altro canto, la riflessione sul proprio vissuto avviene per tutte le esperienza della vita, non solo del noviziato. Quindi, ancora una volta, dopo gli Esercizi Spirituali, mi sono reso conto che io cambio con le esperienze, le esperienze mi cambiano e il mio sguardo sulle cose cambia, di conseguenza, anche il mare è cambiato nella mia visione.

Ricordo come all’inizio dell’estate mi ha appassionato guardare il nugolo di vapore acqueo che si staglia tra il mare e il cielo, verso il pomeriggio. Ho immaginato la brina sulle tamerici, sulle ringhiere delle case, sui bordi delle barche, e ho pensato che fosse il sudore di tutta l’umanità che si muove, lavora, soffre e spera. Tuttavia è anche la nebbia che non ti permette di vedere le cose lontane con nitidezza e i contorni del paesaggio in lontananza. Poi, è stato il momento in cui ho iniziato a guardare al mare stesso, alla sua acqua, al suo colore e alla forma che prende grazie alle rive naturali, ai porti, agli oggetti che incontra.

Arrivato a questo punto dell’osservazione, mi sono incontrato con il mare e mi sono reso conto che guardandolo potevo avviare una riflessione sulla mia estate partendo proprio dalla sua profondità e dalla sua larghezza. Infatti, quando siamo coinvolti in un’esperienza avvengono molti accadimenti; li viviamo, ma cogliamo i significati solo superficialmente, e solo in un secondo momento, quando facciamo memoria e con la mente e il cuore ci spingiamo indietro nel tempo, allora saltano agli occhi dettagli ed elementi che al presente dell’azione sono mancati di giusta osservazione.

La rilettura dell’estate mi ha perciò aiutato a rendere viva l’esperienza vissuta, con l’aiuto del mare che è diventata la similitudine della mia vita.

La discesa nella nostra interiorità, nei nostri vissuti, richiede coraggio, lo stesso di cui bisogna armarsi quando si entra in acqua dopo essere stati sotto il sole per molto tempo: occorre acclimatarsi nell’ambiente, lasciarsi andare e permettere che l’acqua aderisca completamente, molecola dopo molecola, alla nostra pelle. Talvolta, occorrerà anche tuffarsi e sarà necessario attraversare la vertigine che si prova passando dal trampolino all’acqua. Oppure, ci piacerà andare in apnea per sondare i fondali, nuotare trattenendo il respiro e lasciarsi meravigliare per la ricchezza e la bellezza dei pesci e delle erbe marine. Così sarà per conoscere la nostra interiorità: occorrerà dirigersi sempre più in fondo, diritti al cuore delle cose, sapendo che intraprendiamo questo viaggio per scoprire la nostra vera identità e che siamo mossi dal desiderio della Conoscenza e della Verità. Potremo provare timori, ritrosie, resistenze e paure, poco male! Allora, sarà il caso di ricordarsi che il Signore non ci chiede di camminare da equilibristi su di una corda, ma di immergerci nell’elemento più morbido e più accogliente a nostra disposizione: nello stesso luogo dove un famoso pescatore, gettando le reti, le ritirò piene, fino a quasi strapparle.

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