Quasi verso la fine della fase di studio per la scrittura di un elaborato su un tema della nostra spiritualità, non ricordo bene cosa dovessi dare a Lorenzo o cosa dovesse restituirmi, passando da camera mia mi fa un apprezzamento sullo stato in cui si trovava la mia scrivania e il resto della stanza.
Ormai ero sommerso da marasma disordinato – o caos prossimo al punto di non ritorno, tra appunti, libri, fogli sparsi sulla scrivania e che si espandevano per il resto della stanza. In questo quadro, da film post-apocalittico, mi dice: “Mi piace questa stanza!”.
In quel momento ho capito che quello che per me poteva avere, a tratti, un certo senso di caos ordinato, (in cui al massimo al terzo tentativo sarei stato in grado di trovare quello che cercavo), agli occhi degli altri era un’altra cosa: poteva essere segno di una certa vita. “Mi dà proprio l’impressione che è vissuta, questa stanza!”.
E mi viene da dire che così anche le cose che tocchiamo possono trasmettere un certo modo di vivere, o almeno un certo modo di “essere in relazione”.
Il fatto è che l’esperienza comunitaria è sempre più rivelativa di come l’orizzonte dell’altro, di cui si è fatti partecipi per la vicinanza e la condivisione, possa essere l’occasione di lasciarsi allargare nello sguardo, e nella conoscenza, su se stessi attraverso questo incontro.
L’esperienza dello sguardo dell’altro certamente aiuta ad accogliere, e allo stesso tempo attiva, come reazione, il desiderio di conoscersi in modo più autentico, di indagarsi. In questo scrutarsi si scopre che su di noi è rivolto un altro sguardo, che proviene da molto lontano… è lo sguardo del “Dio della visione” che, rivolgendoci a Lui, ci fa dire come Agar: “Non ho forse visto qui colui che mi vede?” (Gen 16,13).
E questa è l’esperienza dei primi discepoli, che testimoniano ciò che hanno visto e di cui hanno fatto esperienza, che ci è trasmessa e di cui siamo, anche nelle cose di tutti i giorni, fatti partecipi.
S.Ignazio direbbe “trovare Dio in tutte le cose”. E così nella vita quotidiana ci accorgiamo che avere gli occhi aperti, ci insegna a guardarci intorno con attenzione, e farlo con impegno ci apre alla meraviglia. Da classici pigroni che siamo, che vorremmo incrociare il Suo sguardo là dove rivolgiamo il nostro, il Signore ci scomoda di volta in volta nell’attirare l’attenzione ad altre cose provocando, nella tensione alla Sua ricerca, un affinamento dei nostri filtri. Papa Francesco direbbe la “Tenerezza dello Sguardo”, che sa incontrare nell’altro l’Altro che è di nuovo quel Dio della visione.
Ancora di più, si potrebbe dire che questa esperienza di noviziato è quella di co-abitare quello Sguardo che ci mostra la direzione da seguire. Allora è bene rassegnarsi alla scoperta- sempre nuova, perché è talmente semplice che semplicemente è facile da dimenticare- che il compagno di strada non solo è la persona noiosa da sopportare, può diventare, con l’esercizio della pazienza, e con la temperanza dell’accoglienza l’occasione per “starci dentro” e quindi di sentirsi partecipi di un cammino che allarga sempre più i nostri orizzonti, verso qualcosa che nel disordine quotidiano può mostrarci le tracce della presenza del proprietario dello sguardo originale, che è causa di tutto questo.
Filippo Carlomagno, novizio del secondo anno