GESUITI noviziato
Noviziato della Provincia Euro-Mediterranea della Compagnia di Gesù
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Mela rossa

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Il Natale rotondo

di Domenico Pierro

A pranzo, davanti a una biondissima cotoletta impanata, che farebbe gola a qualsiasi ragazzetto, io ed un mio connovizio, ad un certo punto ci siamo confrontati su un tema scottante: l’accoglienza dei migranti.

Entrambi – quasi coetanei -, sensibili alla tematica, politicamente aperti alla possibilità di vedere le popolazioni europee mescolate a quelle africane, asiatiche e latino-americane, non ci siamo soffermati neanche a ponderare l’idea di una società chiusa ai flussi migratori, no! Perché per noi la giustizia è un valore, ed è scontato che una società più giusta non è un sogno ma un obiettivo da raggiungere. Per di più siamo novizi e al desiderio di dare la nostra vita a Dio, segue il desiderio di darla per gli uomini del nostro tempo, nelle sfide che la nostra storia presente ci sottopone.

Eppure, dinnanzi a questi altissimi desideri, ad un certo punto, abbiamo perso la diritta via, nel senso che quando dall’osservazione siamo arrivati al fenomeno, e dal fenomeno all’atto pratico dell’accoglienza, non sapevamo più come procedere.

Dopo i sentimenti di protesta per gli uomini morti in mare, o dopo il diniego miscredente di chi non vuole credere alla violenza e alla bruttezza di cui è capace l’essere umano, può succedere a volte di volersi proteggere dalla crudeltà delle cose, guardando il mondo attraverso un binocolo, da lontano. Da lontano, gli elementi da considerare sul fenomeno dell’immigrazione sono sempre irrilevanti: le case destinte all’ accoglienza, diventano contenitori; le persone, una massificazione innumerata di nomi ed età; le braccia aperte, uno spot pubblicitario; la prossimità e la condivisone diventano procedure, percorsi senz’anima, messi in campo per riscaldare la coscienza inquieta. Al contrario, da vicino le questioni diventano bollenti da toccare e quasi accecanti da guardare.

Intanto, il pranzo è finito. La gioviale cotoletta pure, seguita da una mela, un po’ più prosaica. Salendo in camera mi sono interrogato sulla conversazione e direi che la rotondità della mela mi ha illuminato.

Praticamente, guardiamo sempre agli immigrati e al loro mondo col cannocchiale, ossia ci collochiamo sempre al porto. Quando ci siamo assicurati di essere un po’ cristiani, offriamo un materassino da piscina, lo piazziamo in garage e intanto aspettiamo. Aspettiamo che l’uomo dai mille bisogni arrivi e che si accontenti di quel misero poco che noi abbiamo preparato per lui, secondo il nostro giudizio, il minimo indispensabile che serve a colmare appunto, i mille bisogni.

Quando poi quest’uomo è giunto e con lui tutti i suoi drammi, presto ci rendiamo conto che gli avanzi non sono per nulla adatti, ma che per fare una dignitosa accoglienza è necessario che l’accolto e l’accogliente prima di tutto si presentino, si ripetanto il nome, perché si sa, siamo italiani e i nomi stranieri non riusciamo a imapararli! Allora, improvvisamente ci ritroviamo inadeguati, imprigionati da una scarna valutazione, impreparati per quello che l’altro, o a questo punto, l’alterità ha scaturito nel nostro quotidiano.

…E’ giunta l’ora della lezione di greco. Scendo al piano di sotto e facendo le scale, incrocio il presepe. La grotta è sempre la stessa. Identica a quella che c’è nella mia memoria. Per permettere all’osservatore di vedere l’interno con quei poveri tanto famosi di Betlemme, l’ideatore di quella misera casa, l’ha progettata senza la facciata centrale: il fuori non è scisso dal dentro e in termini moderni, diremmo che è un ambiente unico, quasi un open space, tra lo spazio che Dio ha preparato per la nascita di suo figlio e il resto del mondo.

In tanto la lezione è inizata e leggiamo della nascita di Gesù e dell’adorazione dei pastori. Io ho quasi 33 anni e nonostante il noviziato, forse, faccio ancora fatica ad accettare che Dio per mostrare la sua potenza si è fatto fragile e semplice come un bambino, esposto in un casa senza porte e finestre, rivelandosi tutto a tutti.

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