Dio chiama anche durante un Botellón
La strada dell’edonismo conduce ad un vicolo cieco. Si esce solo guardando in alto.
Ho 34 anni. Amo la geopolitica e la Divina Commedia. Nel tempo libero leggo saggi su spiritualità o psicologia e fin dall’adolescenza amo divertirmi con la giocoleria o suonando il Djembe e il Cajon. Mi piace raccontare storie di vario tipo, della bibbia, racconti edificanti ma anche barzellette. Oltre ai miei genitori, papà Mauro 68 anni e mamma Franca 62, ho due fratelli: Emanuele 38 anni e Simone 27 anni.
Vengo da Troia (FG) una stupenda cittadina sui monti Dauni dove ho vissuto fino a 23 anni. Un avamposto sul Tavoliere delle Puglie affacciato sul Gargano da cui ogni giorno si vede sorgere il sole e tramontare in infuocati panorami dietro gli Appennini. Mi porto nel cuore la favolosa Cattedrale in stile romanico pugliese e gli anni passati a giocare nei campi con amici e cugini. Ho avuto una infanzia felice. Giocavo a calcio, pallavolo, pallacanestro, Karate. Arrivata l’adolescenza metto da parte la fede perché trovo davvero noioso tutto quello che mi avevano raccontato sulla religione. Erano gli anni in cui cercavo emozioni forti, qualcosa che mi facesse dire costantemente WOW e gli insegnamenti della chiesa contrastavano con tutto questo. Potrei benissimo dire anche io “fino a 23 anni fui uomo di mondo assorbito dalle vanità”(Autobiografia di Sant’Ignazio 1). Erasmus in Spagna, proprio una sera, nel bel mezzo di uno dei tanti “botellón” – serate tra giovani passate a bere, fumare e chiacchierare – percepisco la profonda assenza di senso della vita che conducevo. Avevo bevuto fino in fondo il calice del mondo e non ne provavo più soddisfazione. La strada dell’edonismo conduce ad un vicolo cieco da cui si esce solo guardando in alto. Mi accorgo che neanche “tutto l’oro che è sotto la luna”(Inferno di Dante VII) avrebbe potuto appagare la fiamma del mio desiderio. Non mi restava che tornare a Dio.
Durante una lettura personale del vangelo faccio l’esperienza dell’incontro personale con il Risorto e la mia meraviglia è così grande che pronuncio il più grande WOW che avessi mai detto nella vita. Era il brano del giovane ricco nel vangelo di Luca in cui Gesù invita il ragazzo a lasciare tutto e a seguirlo. Decido di fidarmi di questo Gesù che allora era solo un attraente sconosciuto. Riconosco una vocazione anche se non ancora ben definita nei particolari. Entro in seminario ma con il passare degli anni mi accorgo che la strada era altra. L’incontro con un gesuita, Franco Annichiarico, avviene in occasione di un ritiro. Mi colpisce. Un compagno seduto al mio fianco mi domanda a bruciapelo: “ma perché non diventi gesuita?” La domanda lavora in silenzio per mesi e raffiora nella lettura del la Civiltà Cattolica a cui decido di abbonarmi. Al termine del seminario vivo il mese ignaziano per prendere una decisione sulla vocazione e in piena consolazione riconosco la chiamata alla Compagnia.
Ho sempre cercato la pienezza, una vita che avesse senso, un luogo dove sentirmi a casa ma anche una vita piena di avventura. Cristo è la più grande che sia capitata su questa terra. Finché non ho trovato il senso della vita in Cristo, ad animarmi era più la fuga o il tentativo affannoso di colmare il senso di vuoto prodotto dai miei affetti disordinati. Ora desidero che la mia ricerca sia animata da una relazione di intima amicizia con Gesù come compagno di vita e motore delle mie azioni.