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Ivan Agresta

Sono nato a Napoli il 17 dicembre 1984.

Ultimo di quattro figli, due maschi e due femmine. Anche se non ne capisco ancora bene il motivo, il Signore (o almeno spero sia lui), ha deciso di chiamare alla vita religiosa proprio me che sono indubbiamente il “peggiore” tra loro.

Sono cresciuto in una famiglia normale, con due genitori amorevoli, ma con tutti i problemi che possono esserci in qualsiasi famiglia.

Mio padre libero professionista, molto preso dal lavoro, mia madre casalinga. Fino ai tredici anni posso dire di aver avuto un’infanzia felice. I problemi insorgono nell’adolescenza, e come tutti i ragazzi inizio a mettere in discussione ogni cosa, a partire dall’autorità paterna e genitoriale.

A quattordici anni per sentirmi un po’ più grande e accettato nel gruppetto degli amici di scuola, fumo la mia prima sigaretta… poi il primo spinello.

Faccio il primo piercing all’orecchio e poi un altro, e un altro ancora (alla fine arriverò a sette). Questo mi fa sentire, in qualche modo, preso in considerazione attirando l’attenzione dei più grandi e in particolare dei miei genitori.

La ricerca di una identità e la voglia di confrontarmi per capire chi sono mi spingono, attraverso alcune amicizie, a frequentare vari gruppi studenteschi, specialmente afferenti all’area antagonista e ai centri sociali.

Frequento il liceo scientifico e, insieme ad altri compagni, fondiamo un nostro collettivo studentesco. L’idea che ci motiva è quella di poterci confrontare sul mondo, sulla società, la politica e tutto ciò che ci circonda.

I miei genitori sono, però, giustamente preoccupati dal mio conflitto adolescenziale che spesso mi porta a compiere bravate (ubriacarmi, fumare, non andare a scuola, disobbedire etc.).

La mia esperienza di fede si limita a veder pregare i miei familiari e ad andare saltuariamente a messa.

In questo contesto, si colloca una prima “chiamata” che stimola la ricerca di una risposta concreta nella mia vita. Parlando di “chiamata” ci si riferisce generalmente a un qualcosa che matura nel tempo dentro di noi, attraverso la relazione e il dialogo intimo con il Signore. In questo caso, però, mi riferisco a una vera e propria…chiamata telefonica!

Si, telefonica!! Perché il Signore si rivela a noi nel quotidiano, la sua chiamata si concretizza nella realtà anche attraverso i fatti e le persone, che diventano segni tangibili della Sua presenza nella nostra vita.

Una calda sera di fine giugno, con la scuola chiusa ma le vacanze non ancora nel pieno, squilla il telefono di casa. Rispondo e dall’altra parte sento la voce di una persona adulta che mi chiede :

“Pronto, con chi parlo?”

“Sono Ivan e lei? chi desidera?”

“Sono padre Buono e cercavo proprio te!”

(Penso: “Cosa può mai volere da me un prete, che non ho mai visto prima?!”.)

Padre Giuseppe Buono è un amico dei miei genitori, missionario del Pime (Pontificio istituto missioni estere) e io lo conosco di nome, perché i miei genitori sono spesso coinvolti da lui in varie attività.

Quella sera decide di coinvolgere proprio me.

E, non so ancora bene per quale motivo, scelgo di fidarmi e di accettare la sua proposta.

Dopo due giorni parto alla volta dell’Abruzzo, offrendo il mio aiuto come volontario in una colonia estiva, alla quale partecipano bambini con varie problematiche, dalla disabilità fisica e mentale al disagio sociale e familiare.

Quell’esperienza apre il mio cuore. Il servizio gratuito, inteso come dono di sé agli altri, diviene da quel momento una componente essenziale per la mia vita.

Da allora, per diversi anni, ho continuato ogni estate a dedicare un periodo ad attività missionarie o di volontariato. Questo impegno mi ha portato poi, qualche anno dopo, a fare anche due piccole parentesi: una in Africa occidentale (Guinea Conakry), dove mi sono anche cresimato. L’altra in Cina, dove durante un giro abbastanza vasto, abbiamo potuto constatare le reali difficoltà dell’essere cristiani in quella parte di Oriente.

Nonostante alcune di queste esperienze, il mio rapporto con il Signore, alla fine delle superiori, è ancora solo a un livello concettuale e superficiale. Il mio desiderio di aiutare gli altri a essere felici, si concretizza sul piano di una scelta universitaria. Superata una iniziale indecisione, decido di iscrivermi alla facoltà di Psicologia di Padova. Dopo un po’ conosco una ragazza, pensiamo anche seriamente di metter su famiglia, magari una famiglia aperta all’accoglienza dei bisognosi e alla missione.

Credo di avere tutto, ma mi sembra sempre che mi manchi qualcosa.

Dopo i primi tempi di lontananza da casa e i primi esami non proprio entusiasmanti, l’ università inizia a non andare. Tutti i miei progetti di costruirmi una vita spesa per gli altri sembrano pian piano sempre più lontani; dopo quasi tre anni di relazione con la mia ragazza ci lasciamo.

In una notte tormentata da una profonda inquietudine, decido di rivolgermi a un frate francescano conosciuto alcuni anni prima a dei “corsi per giovani” ai quali ho partecipato con la mia ex ragazza.

Questo frate ascolta il mio grido, il mio desiderio di trovare Dio, e mi invita a partecipare a un corso vocazionale a Santa Maria degli Angeli. Durante una confessione, ma in generale in quei giorni, per la prima volta faccio esperienza profonda dell’amore e della misericordia Dio, mi sento amato esattamente per ciò che sono, con i miei pregi e i miei difetti.

Dopo questo incontro, finalmente inizio una più profonda e sincera relazione con il Signore per poter capire la sua volontà nella mia vita.

Cosa fare? prendere in seria considerazione una possibile vocazione alla vita consacrata?

Più volte mi è balenata nella testa questa domanda, ma in passato l’ho sempre messa a tacere, forse troppo presto.

Dopo un anno e mezzo di cammino, le mie resistenze e i miei dubbi sono ancora molti. Non riesco a mettere ordine nella mia vita e a darmi delle priorità, concludo così il mio accompagnamento vocazionale con i francescani senza esser riuscito a fare una scelta per il mio stato di vita.

E’ in questo momento che faccio amicizia con uno scolastico gesuita..

Vivo in una residenza universitaria e ancora non mi sono laureato; questo scolastico vive anche lui a Padova e studia filosofia. Capisce la mia inquietudine e ciò che mi blocca. Mi propone piccole esperienze di spiritualità ignaziana, mi invita a partecipare a un pellegrinaggio per giovani organizzato dai gesuiti. Dopo qualche mese, chiedo ad un padre gesuita di accompagnarmi spiritualmente. In estate vado a Bologna (Villa San Giuseppe), faccio per la prima volta una settimana di esercizi spirituali ignaziani. Gli esercizi sono probabilmente la scoperta più bella della mia vita, il metodo ignaziano mi insegna a pregare non più solo con le parole ma con tutto me stesso. Ho finalmente trovato uno strumento per discernere, per andare nel profondo dei miei desideri.

Continuo il mio cammino spirituale e di conoscenza di me stesso e nel’ agosto 2014 decido di fare richiesta per essere ammesso in Compagnia. Dopo un ulteriore anno di verifica che trascorro nella comunità dei gesuiti di Padova, il 3 ottobre 2015 entro nel Noviziato di Genova.

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