Un colloquio inaspettato
Una pagina di diario
25 gennaio 2014: un pomeriggio piovoso di un inverno romano. Insieme a un compagno del Pontificio Collegio Pio Romeno vado a parlare con un gesuita, suo professore. La mia intenzione è quella di fare il mese di esercizi spirituali per capire a che punto mi trovo con le mie scelte di vita, con il mio desiderio di essere sacerdote e musicista. Da un po’ di tempo mi sento disorientato. Sento il bisogno di ritrovare la strada su cui camminare. L’incontro con il padre gesuita accade come un fulmine a ciel sereno, perché parlandogli della mia vita e degli esercizi spirituali fatti più di dieci anni fa – molto forti, ma senza una decisione ferma – lui mi chiede di fare subito il mese di esercizi, dicendomi: “Non esistono vocazioni tardive, esiste solo il ritardo nel rispondere…”. Preso alla sprovvista, la mia risposta è negativa, ma le sue parole non riesco più a dimenticarle. Mi interpellano sempre più, ma si scontrano con le mie resistenze e le mie paure: non è possibile pensarci, non sono adatto per un tale cammino, non sarò mai accettato dai gesuiti in un programma vocazionale, non vale la pena perché comunque… ecc.
Nonostante tutto sento il desiderio di fare gli esercizi spirituali: perciò parlo con il mio confessore – un gesuita anche lui! – che si offre di darmi gli esercizi nella vita ordinaria (EVO), visto che non mi è possibile frrequentare il mese ignaziano per questioni di tempo. Gli EVO mi offrono subito la possibilità di mettermi in gioco con tutta la mia vita, cominciando a leggere con pazienza e fiducia i segni dei tempi. In un contesto in cui il mio arcivescovo rimanda sistematicamente il giorno della mia ordinazione e la mia specializzazione in composizione – nella quale mi ero rifugiato – sembra non finire più, gli esercizi mi indicano il magis per la mia vita: avere coraggio di rischiare. Con una tale sfida davanti, comincio ad avere occhi per vedere il bene ricevuto e soprattutto quanto sia importante l’esempio degli altri nella mia vita, specialmente nella fede. Ricordo con gioia la presenza – a volte silenziosa – di un altro padre gesuita che mi ha accompagnato durante i miei studi a Roma: un esempio di umanità, di disponibilità e di coraggio nei miei confronti. Mi rendo conto che ho conosciuto diversi gesuiti e che la mia esperienza con loro non mi lascia indifferente. Scende dentro di me una grande pace e il mio cuore diventa disponibile: esprimo per la prima volta il mio desiderio di diventare gesuita, si, sono “pronto a fare il salto”.
29 giugno 2014: Viboldone, abbazia benedettina vicino a Milano.
Durante la messa, il salmo responsoriale mi tocca profondamente, non tanto per la melodia cantata con cura e devozione dalle monache, quanto per il testo del salmo 33 che ha risonato con la mia vita: “Il Signore mi ha liberato da ogni paura”, un momento di grande pace e di consolazione. Tornando in Romania comincio il percorso vocazionale come candidato alla Compagnia partecipando a diverse attività dei gesuiti rumeni: esercizi spirituali in montagna, incontro della gioventù ignaziana (Magis), volontariato con i poveri e i rifugiati. E intanto concludo la mia licenza in composizione. All’esame finale, qualcuno mi dice: “Perché vai da loro? Il gesuita non canta…” Sono questi i momenti di luce e prova, di incontri e rinunce, che mi hanno portato all’ammissione in noviziato da parte del superiore regionale della Romania.
1 ottobre 2016: insieme ad un compagno rumeno arrivo a Genova nel Noviziato della Compagnia di Gesù, per cominciare l’avventura tanto desiderata: un’avventura per me e per gli altri… e quando penso che tutto è cominciato da un semplice, ma provvidenziale colloquio…